Un lavoro come un altro

“Non è uno show televisivo
Né un evento adatto ad una piazza.
E’ come sfornare il pane,
Pulire le strade
O costruire un edificio:
E’ semplicemente il mio lavoro
Un lavoro come un altro” 

Di fronte allo specchio si lava la faccia con acqua gelida: forse, si farà schifo più tardi.
Non ama il suo lavoro, questo è ovvio.
Lo porta ad essere un altro, qualcuno che non vorrebbe essere.
Ma non ha scelta.
Gocce d’acqua scendono dal suo volto mentre lui rimane immobile a fissare la propria immagine riflessa, indagando se stesso, scrutando al di là della maschera che porta.
Lentamente mette a tacere tutti i suoi pensieri: sua moglie, sua figlia, la sua vita…
Deserto.
Lava via ogni pensiero, ogni dubbio.
Non ne ha bisogno, ora.
Adesso deve solo concentrarsi: ha del lavoro che lo attende.

Quella mattina però davvero non aveva voglia di stare lì a prepararsi. E’ stanco e assonnato…a dirla tutta, se ne sarebbe rimasto volentieri a poltrire fino tardi. Ma poi chi l’avrebbe sentito il suo responsabile…quel testa di cazzo…
Di certo non avrebbe tollerato alcun ritardo da parte sua. Nessun errore!
O almeno, non dopo lo spiacevole incidente di due settimane prima.
Per colpa sua un lavoro era andato a monte e avevano praticamente perso un cliente irritato per l’inadempienza del servizio.
Ovviamente la direzione aziendale si era alquanto irritata e quindi avevano – diciamo così – “esercitato pressioni” nonostante Edgar fosse operativo ormai da un bel pezzo e non si fossero mai verificati problemi.
Tutta colpa della crisi economica: anche l’azienda ne risentiva e quindi, questa volta, tutto doveva filare liscio pena spiacevoli conseguenze.
Non c’era spazio per fallimenti e pesi inutili.
Un altro errore e non ci sarebbe stato più posto per lui, soprattutto.
Certo, come se fosse stata solo ed esclusivamente colpa sua… Dannazione! Cosa ci poteva fare se l’autobus su cui viaggiava aveva investito un ragazzino in moto! Ma ovviamente per il suo illuminato responsabile, Mical, il fallimento con quel cliente era unicamente dovuto a quel suo ritardo e alla conseguente mancata esecuzione del lavoro.
Dell’incidente e della successiva congestione del traffico ne avevano parlato anche sul giornale; ma per lui non era sufficiente.
L’azienda aveva perso quel cliente ed era solo e soltanto colpa sua: impossibile far cambiare idea a Mical!Impossibile fargli notare che in realtà era lui che avrebbe dovuto occuparsi di gestire la faccenda e non agitarsi e andare in escandescenza. Un comportamento inopportuno e così poco professionale che aveva scatenato la rabbia del cliente, già di per sé irritato per il mancato adempimento dei servizi da lui richiesti. E ben pagati.
Naturalmente, anche il suo responsabile aveva le sue colpe e l’azienda pure l’aveva redarguito. Ma tutto ciò non riusciva a confutare la sua teoria in merito a come erano realmente andate le cose.
E da quel giorno se l’era legata al dito divenendo, se possibile, ancora più antipatico nei confronti di Edgar.
Arrivare in ritardo al lavoro quindi, era un lusso che non poteva più permettersi.
Anzi, nemmeno poteva osare pensarci pena un possibile licenziamento!
Scrollando la testa l’uomo si convinse ad abbandonare simili, inutili grattacapi: non ha senso perdersi con questi pensieri prima di un lavoro tanto delicato.
Quindi si asciuga la faccia e poi, ancora a torso nudo, come da consueta abitudine lavorativa, si dirigo verso la panca dello spogliatoio messagli a disposizione.
Inizia a trafficare con i pantaloni scuri e gli anfibi da lavoro; poi indossa i pantaloni neri. Con un po’ di difficoltà a dire il vero: ed in effetti è come assistere ad una lotta disperata tra i suoi chili di troppo e la cintura che non ne vuole sapere di richiudersi.
Ebbene sì, lo ammette amaramente, negli ultimi mesi è un po’ ingrassato…ma non se ne preoccupa più di tanto. Anzi, l’azienda trova che così la sua figura professionale risulti ancora più adatta, più conforme all’immagine tradizionale che da sempre essa ha cercato di conservare. E di vendere ai propri clienti.
Dopotutto quasi tutti i suoi colleghi, quelli operativi intendiamoci, esibiscono una sana “panza” da buongustai!
Uno smilzo o mingherlino, d’altra parte risulterebbe assai ridicoli a fare quel mestiere.
Sua moglie invece, si lamenta un po’ : dovresti metterti a dieta, praticare dello sport, andare in palestra…insomma! muoviti un po’ di più!!
Lei parla…parla…parla…
Lei!
Lei che addirittura fa meno vincerebbe le olimpiadi del “non-movimento”!
Però un po’ di ragione ce l’ha, non lo nega…dopotutto, alla sua età, sarebbe bene prestare un po’ d’attenzione alla forma fisica. Esiste sempre il terroristico rischio di infarti che medici e tv pensano bene di continuare a rammentare. Uomini atletici e ariani, loro, che preannunciano malanni e sciagure per i comuni mortali di mezza età.
Ma lui non ce la fa, non ha proprio la forza, alla sera, terminato il lavoro, di andarsene in palestra e faticare ancora. Al weekend poi, che c’è di male nel rilassarsi e nel dedicarsi un poco ai propri hobby e alle proprie passioni? Perché dovrei andare a fare footing, pensa, o chissà ché dopo una settimana massacrante e di duro lavoro?
Lo chiede soprattutto a se stesso.
Nuovamente di fronte allo specchio, si toglie il crocifisso che porta al collo prima di indossare la protezione per la testa, un nero copricapo scuro che lo nasconde completamente fino al collo.
Infine richiude il suo borsone scuro e lo ripone a lato degli armadietti di metallo.
Ora è finalmente pronto: si può cominciare!

Esce dallo spogliatoio che il cliente ha messo a disposizione, oltrepassa la portineria in cui un addetto alla sorveglianza tenta di passare il tempo come meglio gli riesce osservando ora il giornale ora i monitor che mostrano l’esterno.
Poco più avanti lo attende Mical. Appare sollevato quando finalmente lo vede in uniforme da lavoro. E’ nervoso. Nell’aria, attorno a lui soprattutto, si avverte ancora puzzo di fumo.
“Mi raccomando: voglio un lavoro pulito. Fa in modo che il cliente rimanga soddisfatto. Lo sai che questa è un’occasione importante per te…Non vorrai mica deludere l’azienda? Lo sappiamo entrambi che sei un ottimo elemento, no?!”
Una breve pausa.
“Su, seguimi che si comincia.”
L’altro annuisce e si incammina, seguendolo, lungo il corridoio poco illuminato.
Fortunatamente il copricapo che indossa gli nasconde per intero la faccia.
Il suo cervello nel frattempo elabora e traduce il senso di quello che il suo esimio responsabile aveva cercato di fargli capire.
Se questo lavoro, per un qualsiasi motivo, si fosse risolto in un fallimento avrebbero licenziato entrambi ma ovviamente sarebbe stata tutta colpa sua. Mettiamocelo bene in testa, ripeté tra sé e sé Edgar.
Poi la litania delle sue motivazioni, dei motivi che lo sostengono nel fare ancora quel lavoro odioso.
Tu non vuoi che questo accada, che ti licenzino, giusto?
Non ora che tua figlia ha messo l’apparecchio per i denti e che ti ci vorrà una bella somma per concludere il pagamento: no.
Non ora che tua moglie è nuovamente incinta e che sarà necessario affrontare nuove spese per la casa e per il nuovo bimbo in arrivo: no di certo.
Non in questo merdosissimo periodo di crisi in cui le aziende chiudono e la gente mendica lavoro: nossignore!
Per cui non dargli retta e non abbatterti: mostra a tutti di che pasta sei fatto!
Fa vedere loro quello che sai fare!
Lo ricorderanno come un lavoro perfetto, vedrai!
Fallo per l’azienda!
Fallo per te stesso!
Fallo per la tua famiglia!
Fallo per il tuo futuro!
“Eccoci arrivati: mi raccomando!” : le ultime parole di Mical prima di varcare la soglia della sala dei grandi eventi lo distraggono dai suoi personali incitamenti interiori. Lo riportano a ciò che il suo collega e responsabile gli aveva detto prima, nel corridoio. Ripensando a quel suo sano modo di caricare le persone e di ricordare loro chi rischia il culo gli verrebbe da mandarlo a cagare.
Ma in realtà sono entrambi vogatori di una stessa barca aziendale, semplicemente Edgar l’aveva compreso e l’altro no. Reggeva in mano un remo ma non aveva ancora intuito a cosa potesse servire.
Se licenziano me, si diceva Edgar, di lui certamente l’azienda non avrà più bisogno: dopotutto non ci sono operativi privi di un responsabile che coordini i lavori e mantenga i contatti con i clienti.
Cazzi suoi, quindi.
Dopotutto, lui il lavoro lo sapeva fare.
E bene.
Non aveva bisogno di dimostrarlo a nessuno. E soprattutto non aveva bisogno di ulteriori pressioni.
Era tutto già pesante di suo, così poco soddisfacente e desolante. Non ne poteva più, quel lavoro l’aveva stancato.
Continuava solo per inerzia, solo perché aveva bisogno di lavorare.
Ma se avesse potuto avrebbe mollato tutto per aprire un pub, o un ristorante forse…
Sogni…desideri irrealizzati…la vita l’aveva condotto altrove, ad un lavoro che non amava e che non aveva mai amato.
Ma ora basta, non è tempo per simili pensieri. Scuote la testa e si ferma un istante, un singolo momento di concentrazione prima di varcare la soglia della sala gremita di gente.
Rimane in silenzio con se stesso.
Annulla i suoi pensieri.
Il suo non è un lavoro difficile ma ancora, nonostante vent’anni circa di professione, non riesce a viverlo bene.
Forse è ancora troppo poco distaccato.
Per questo quando non lavora ho così spesso bisogno di starsene da solo per dimenticare quegli occhi, quei volti e tutta quella gente che immancabilmente presenzia in simili circostanze.
Entra.
Lo speaker annuncia il suo arrivo.
La folla applaude ed acclama al pensiero di ciò che a breve accadrà sul palco di legno collocato al centro del salone.
Per gli altri è un evento ma lui avanza in silenzio, indifferente a tutto.
Proprio come deve essere.
Proprio come ci si aspetta che lui sia.
Tra le urla e l’eccitazione della gente scorge gli occhi di un bambino: in terza fila c’è una famiglia al completo e il pargolo lo osserva meravigliato.
Da grande, forse, sogna di diventare come me.
Un sogno assai crudele, bimbo, sappilo.
Ma è solo un pensiero fugace che svanisce all’istante. In fondo, nel mondo ci sono anche lavori peggiori.
Sente il suo sguardo e assieme ad esso quello di centinaia di altre persone posarsi su di lui, soffermarsi sul suo cappuccio nero che nasconde ogni fattezza del suo volto umano.
Una maschera per tutelare la sua esistenza.
Una maschera per privarlo del volto e della sua identità.
Quando la indosso lui è nessuno.
E a nessuno sono concessi poteri che un uomo comune non può esercitare.
Senza di essa, in realtà, sarebbe perduto, non riuscirebbe a fare quel che invece fa.
A torso nudo e con i suoi stivali neri, semplici ed essenziali come impone la tradizione dell’azienda per cui lavora, sale le scale di legno: è arrivato ormai.
Raggiunge il centro della pedana, raggiunge il suo obiettivo.
Il cliente, anch’esso sulla pedana, appare ebbro di gioia, sfigurato mentre incita la folla e conclude il suo discorso.
Per loro sarà anche uno spettacolo, un macabro show a cui assistere e per il quale entusiasmarsi.
Ma per Edgar è solo un lavoro, un modo come un altro di guadagnarsi il pane.
Poi un cenno di intesa e quindi il palco si svuota.
Il silenzio della folla mentre una musica risuona nell’aria. E’ composta di lunghi suoni melodiosi, lenti e malinconici, accompagnati da percussioni profonde e lontane. Riportano a tempi ormai perduti, cancellano i pensieri e agiscono sulle emozioni umane, rilassando e creando attesa.
Edgar osserva l’uomo che con lui sta sul palco.
L’altro, supino e legato al lettino di legno, pazienterà ancora un istante. Urla, piange, insulta il cliente di Mical e Edgar e la folla al completo.
Come dargli torto.
Ma in fondo è la legge naturale, mors tua vita mea dicevano.
Ed il boia lo sa bene e comprende lo stato d’animo della vittima designata. Ma ciononostante prosegue con i preparativi dell’esecuzione e si dedica alla scelta dello strumento migliore, quello più adatto all’evento.
Sceglie quindi una scure semplice ma ben bilanciata, dal lungo manico in carpino. La lama appare ben levigata e luccicante. E’ un’arma anonima, umile ma possente usata dai falegnami e dai contadini di tutte le epoche e di tutte le nazioni.
Talvolta anche come arma di guerra.
Ma soprattutto è l’arma dei suoi predecessori e di coloro che saranno dopo di lui a svolgere quel lavoro.
Senza fatica la solleva poi sopra la testa, la regge con una mano soltanto. Successivamente la porto davanti a se, perpendicolare al corpo. Quindi la muovo verso destra.
Come ogni volta, prima di eseguire il suo compito, Edgar si esibisce in alcune evoluzioni facendo ruotare l’arma su se stessa, spostandola da destra a sinistra, prima con una mano e poi con l’altra, creando cerchi nell’aria e rapide traiettorie.
E’ la prassi, la routine prima dell’esecuzione prevede un po’ di scena per il pubblico e per il cliente pagante.
Poi si fermo.
Lentamente, le luci si spengono e un fascio di luce va ad illuminare il lettino su cui giace la vittima designata.
Il boia si avvicina all’uomo: uno sguardo rapido e poi osserva altrove.
Non sa chi sia ma crede di averlo incrociato più di una volta in autobus.
Non che questo cambi le cose, certo. In fondo è solo un lavoro, nulla di più.
Solleva in alto la scure e la abbatte con violenza sul suo collo.
Un colpo solo, poderoso.
Schizzi di sangue caldo.
Poi un altro colpo, altrettanto preciso e potente.
La testa rotola a terra in un mare di sangue.
Edgar la recupera e la solleva mentre il pubblico esplode, avvampando, in un applauso di giubilo.
Le luci si riaccendono immediatamente mentre esibisce la testa del condannato. Il volto ancora stravolto dal dolore e dalla paura.
In prima fila scorgo il cliente: sorride soddisfatto e applaude.
Il lavoro è andato bene.
Mical, il responsabile della buona riuscita dell’esecuzione, seduto lì a fianco replica lo stesso comportamento.
“Ottimo lavoro”, gli conferma nello spogliatoio pochi minuti dopo mentre Edgar torna ad indossare i suoi abiti usuali e ripone nel borsone la sua tenuta di boia.

 

Data di creazione : 03 marzo 2006

Ultima modifica : 04 novembre 2006

Nota:  Esattamente non so da dove io abbia attinto per la creazione di questo personaggio…di certo non rappresenta uno dei miei sogni o delle mie aspirazioni di vita! Semplicemente, credo, ho riflettuto sull’ironia della sorte che alle volte porta le persone a vivere grazie a lavori di dubbia moralità. Ma non solo. E’ anche un modo per denunciare il moderno mondo del lavoro che sembra, in certi livelli, portare l’individuo ad annullare la propria umanità o ad “uccidere” gli altri. Anche se questo ovviamente non comporta l’annullamento fisico di clienti, di concorrenti o colleghi. Tra le critiche che ho ricevuto al racconto, infine, molte riguardavano la dimensione aziendale del testo e la non gestione “mediatica” dell’esecuzione. Magari hanno ragione e dovrei cambiare il testo. Ma in realtà non era mia intenzione focalizzare l’attenzione sull’esecuzione, bensì sull’uomo boia. Un uomo come tutti, con i propri pensieri e problemi. Un uomo reso anonimo e che compie un compito ingrato ma che in realtà non vive il suo ruolo come anomalo. Il suo è un lavoro come un altro, come se si trattasse di fare l’imbianchino, l’idraulico, l’infermiere oppure il costruttore di bombe, il produttore di coloranti, il ricercatore per il reparto armi dell’esercito…

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.scrivendo.it
  • www.isogninelcassetto.it
  • www.chiappinik.it/arcadia
  • www.ozoz.it/ozblogoz
  • www.clubpoeti.it
  • www.arteinsieme.net
  • www.i-racconti.com
  • www.raccontare.com

 

 

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