Il druido

La piccola folla era radunata nella sala comune del “Cervo Rosso”, un grande edificio con mura in legno e pietre a vista che sorgeva al centro del villaggio. Fungeva da locanda per i rari viandanti e, molto più spesso, come ritrovo collettivo per discutere di questioni ufficiali, quasi fosse una sorta di reggia o luogo di pubblico esercizio oltre che una taverna ben fornita di liquori.
In quel momento alcuni dei cittadini si stavano ancora consultando fra loro, esponendo le proprie perplessità, i dubbi che serbavano nel cuore:
– Avremo fatto bene a richiedere il suo aiuto?
– C’è da fidarsi di un tipo come lui? Girano strane voci sul conto di quei druidi..
– Che altro potevamo fare?
Jonas, il capo villaggio, trangugiò un altro bicchiere di grappa aromatizzato al lampone quindi appoggiò con decisione il piccolo bicchiere di vetro. Era nervoso, molto: perché il saggio Oel Odran non era ancora giunto? Quanto tempo avrebbe dovuto ancora attendere prima di vederlo comparire sull’uscio del Cervo Rosso? E se invece non avesse accettato la sua richiesta di aiuto? No, si disse scuotendo per un attimo la testa nel tentativo di allontanare i propri dubbi. Devo solo pazientare ancora un poco. Ancora un altro po’ e poi certamente sarà qui. Ne va della vita di mio figlio, dannazione!
Senza prender parte ai discorsi che si alternavano nella sala comune illuminata dalle candele delle lanterne appese alle pareti della stanza, il boscaiolo si diresse verso una delle finestre e si mise ad osservare fuori accarezzandosi con la mano la folta barba bionda, un gesto quello che lo aiutava a calmarsi e che, per chi lo conosceva bene, era solito fare quando era pensieroso.
All’esterno della locanda ormai era quasi notte, la foresta appariva minacciosa e misteriosa, inquietante per i pericoli e le insidie che essa si diceva nascondesse: lupi, fiere, troll … giravano numerose voci, dicerie che la gente semplice alimentava proiettando le proprie paure, infondate talvolta, in merito a ciò che credeva si aggirasse di notte tra gli alberi della foresta di Loghen. Secondo alcune di queste voci là fuori vi erano addirittura streghe e spiriti maligni, spettri che recavano la mala sorte. Forse erano stati proprio creature del genere a causare quella strana malattia che aveva colpito quei quattro ragazzi. Con la mente Jonas tornò alle immagini del proprio figlio alle prese con gli spasmi e forti dolori all’addome. Stava male, era più che palese, e non si trattava certo di un banale mal di pancia: il colorito esageratamente pallido del giovane non lasciava presagire niente di buono. A nulla erano serviti i rimedi tradizionali a base di erbe e radici e ora Makal, così come Kanral, Suzen e Shouk, rischiavano la morte. Avevano la febbre alta da giorni, si rifiutavano di mangiare, deliravano in preda alle convulsioni e il rischio di vederli trapassare era alto. Un evento che né lui né i rispettivi genitori degli altri ragazzi desideravano veder tramutarsi in realtà: per un villaggio piccolo come il loro la perdita di ben quattro giovanotti nel fiore degli anni rappresentava un gran dramma. Tanto più se quanto stava accadendo era, come sospettavano in molti, frutto di una maledizione o di qualche sortilegio causato da una strega o altri spiriti maligni. C’era poco da star tranquilli: prima o poi sarebbe potuto capitare anche ad altri.
Per questo, non conoscendo altro modo per risolvere il problema, avevano deciso di chiedere aiuto ad un druido come il saggio Oel Odran, un potente servitore della dea madre Etharra, un individuo misterioso che si dicesse avesse una conoscenza al di là delle possibilità umane. Secondo alcuni poteva addirittura parlare con gli spiriti i quali, evocati dall’oltretomba, assumevano le sembianze di comuni animali per seguirlo nei suoi viaggi.
Ma di lui, guardando all’esterno, al di là del vetro della foresta, Jonas non scorgeva alcuna traccia. Strinse i pugni per la tensione. Fa presto, dannato druido, pregò tra sé e sè.
Passarono numerosi minuti, la stanchezza e le chiacchiere non diminuirono affatto, mutarono solamente gli argomenti ma le voci non persero di intensità, alcune maggiormente concitate per via dell’alcol. Ugualmente Jonas e gli altri perseveravano nello scrutare l’esterno a mo’ di vedetta, senza perdersi d’animo, ora alimentando ora screditando i dubbi di chi non riponeva fiducia alcuna nella venuta di Oel Odran.
Infine, il boscaiolo vide una macchia più scura delle altre sbucare dall’oscurità della selva. Quindi un’altra e un’altra ancora: erano i corvi del druido. Subito dopo comparve l’uomo che aveva stretto un patto con quei volatili gracchianti e che di essi si serviva come guida, tuttavia fu Alek, contadino ma allo stesso tempo anche abile e attento cacciatore, a riconoscerlo per primo e a riferire agli altri occupanti della sala che il druido era alfine arrivato.
Immediatamente, uomini e donne si riversarono fuori dal Cervo Rosso per andargli incontro, nel cuore un misto di emozioni che andavano dalla mera e semplice curiosità alla diffidenza o alla trepidante attesa. Quell’uomo rappresentava per loro qualcosa di inumano, come se il dono della Conoscenza Arcana da lui posseduto lo rendesse qualcosa d’altro rispetto alla gente comune, elevandolo ad un livello superiore. Una sorta di semidio capace di risolvere ogni problema, di accedere a poteri e informazioni a loro precluse.
Oel Odran vestiva in modo singolare, con indumenti grezzi ricavati combinando assieme pelli di animali ed elementi vegetali. Sulle spalle e sulla testa portava una grigia pelliccia che un tempo doveva esser stata di un lupo mentre alla cintola, una fascia ottenuta intrecciando liane e corda, erano fissati alcuni sacchetti di cuoio. Aveva gambe e braccia seminude mentre alcuni tatuaggi colorati facevano bella mostra di sé sul suo ampio torace. I suoi occhi grigi e i lineamenti decisi del volto, appena sporcato da una barba incolta, gli conferivano un tono solenne e sacro al contempo. Gli uomini e le donne del villaggio avevano soggezione di lui e gli si rivolgevano con tono sottomesso e rispettoso: guardavano a lui speranzosi di aiuto.
Dopo i convenevoli, il saggio venne condotto da loro in un altro edificio, poco distante dalla locanda. Per l’occasione era stato impiegato come infermeria e di conseguenza ospitava i quattro ragazzi febbricitanti per il quale era stato richiesto l’intervento del saggio Oel Odran.
Il druido entrò nella stanza preceduto dai propri corvi i quali svolazzarono per un poco, esplorando ed esaminando l’interno dell’edificio prima di appollaiarsi sopra alcune mensole. Se anche i paesani ritenessero sconveniente una simile dinamica non lo diedero a vedere né espressero alcuna considerazione. Si limitarono ad attendere e osservare. Un particolare che Oel Odran non mancò di notare, sogghignando fra sé e sé per la soggezione che incuteva. All’interno di quell’infermeria improvvisata, comunque, non vi erano né pericoli né alcunché di insolito o curioso a cui valesse la pena dedicare attenzione, questo comunicava al druido la quiete dei suoi neri compagni. Da parte sua, l’uomo, prima di dedicarsi ai suoi pazienti, appoggiò la propria sacca su uno dei tavoli che erano stati approntati per lui. Quindi chiuse gli occhi, giunse le mani dinnanzi a sé e prese un profondo respiro: detestava quella gente.
Non aveva ancora compreso a fondo quel che era accaduto a quei giovani tuttavia già sapeva che non si trattava di un evento così drammatico come gli era stato dipinto. Non che la situazione dei ragazzi di fronte a lui non fosse tragica, questo no, semplicemente detestava l’atteggiamento dei paesani, così stupidamente arrendevoli e timorosi nei confronti di uno scenario che non comprendevano. Avrebbe voluto chieder loro quanto tempo avevano speso per cercare di cavarsela con le proprie risorse, o interpellando l’oracolo della Conoscenza Arcana. Ma sapeva che sarebbe stato inutile. Avrebbero risposto con frasi sconnesse, confuse, pretendendo che lui compisse il miracolo che loro non avevano nemmeno tentato di realizzare. Con il passare del tempo, se ne stava rendendo conto, stava diventando sempre più cinico, deluso anche dall’atteggiamento che la gente comune aveva nei suoi confronti e della Conoscenza Arcana.
Sospirò stancamente. Quando riaprì gli occhi, osservò con fermezza gli uomini e le donne che l’avevano accompagnato fin lì: lesse nei loro occhi apprensione, dubbio, curiosità.
Precedendo ogni loro richiesta, disse:
– Pregate per questi vostri figli, pregate per voi stessi e invocate l’aiuto della benevola Etharra affinché io riesca a liberarli dal male.
Senza farselo ripetere, i paesani si inginocchiarono in cerchio e iniziarono ad intonare una sommessa preghiera mentre il druido passava da uno all’altro dei ragazzi esaminando le condizioni in cui versavano, tastando il loro corpo, controllando il grado di disidratazione dei tessuti, la dilatazione delle pupille ed il respiro.

Guarda a noi, benevola madre Etharra,
ascolta la nostra voce e concedici la tua protezione,
porgi a noi la tua mano salvifica
e liberaci dal male che ci condanna.
Aiutaci nell’ora più buia,
sostienici quando il dolore ci scuote,
proteggici nel pericolo della notte
e dalle insidie del male più nero.

Mentre Jonas, Alek e gli altri genitori pregavano coralmente, di tanto in tanto alzando lo sguardo su di lui, il druido continuò la propria visita ai giovani del villaggio.
Avevano ancora la febbre alta e uno strano colorito che destava in lui un forte sospetto: non ne era ancora certo ma aveva l’impressione di aver già curato un male simile. Per di più in quello stesso villaggio, un paio di anni prima al più. Strinse i pugni per la frustrazione ma cercò di non dare a vedere i sentimenti che lo animavano. Non si trattava di malocchio o di qualche sortilegio magico come pensavano i paesani che l’avevano accolto, gente semplice e poco istruita che scambiavano per vere superstizioni e dicerie del tutto infondate.

Concedici la salvezza, o madre Etharra,
aiutaci nell’ora del bisogno;
infondi in noi il coraggio, la fiamma
sacra della tua fede,
l’unica vera forza in cui riporre la speranza.
Dona a noi vita e salvezza,
uno spirito forte e fermo
nel percorrere il sentiero del mattino
la via sacra e mortale
che conduce al riposo eterno.

Alzando entrambe le mani con i palmi rivolti a loro, il druido ingiunse loro di interrompere la preghiera che stavano recitando. Non aveva ancora compreso bene quale fosse il male che stava condannando le vite dei loro figli ma promise che avrebbe provveduto a loro immediatamente dopo aver interpellato l’oracolo della Conoscenza Arcana, fonte infinita ed eterna a cui poteva accedere.
Rivolgendosi a loro chiese se poteva usufruire dell’oracolo presente nel villaggio ma i paesani non si dimostrarono così pronti nel rispondere anzi, bofonchiarono frasi sconnesse, adducendo scuse e giustificazioni.
– Capisco…
Parlò così mentre realizzava che l’oracolo di cui lui stesso gli aveva fatto dono giaceva in stato di totale abbandono o che comunque non era ancora stato accettato e compreso il suo reale potere e utilizzo. Come sempre, aveva fatto bene a dimostrarsi previdente nel portare con sé la sua reliquia personale, il tramite con cui accedere alla Conoscenza.
Grande fu lo stupore di quegli uomini quando Oel Odran estrasse dalla sacca che aveva abbandonato su di un tavolo un oggetto color grafite. Sembrava fosse una sorta di pietra lavorata con il fuoco sacro della magia, tuttavia non era esattamente così. Ma ugualmente il druido non perse tempo a fornire spiegazione: sarebbe stato solo fiato sprecato.
Interagendo con la reliquia, il druido attivò un meccanismo a scatto e l’artefatto si aprì; quindi, posizionato di fronte ad esso, il servitore di Etharra interagì con alcuni strani bottoni di colore grigio chiaro che comparivano sulla parte interna: su ognuno di essi era riportato uno strano simbolo runico. Quasi fosse dotato di vita propria, lo strano artefatto incantato rispose al rituale del druido e sulla superficie verticale della reliquia comparvero luminose scritte runiche e scie di colore. I paesani non sapevano né cosa pensare né cosa credere: non potevano comprendere quale sortilegio fosse in atto. Tuttavia si fidavano del potere occulto di Oel Odran, poiché egli possedeva la conoscenza, quella che a loro mancava e che invano aveva tentato di infondere in loro anni prima. Jonas ricordava bene quando il druido aveva trascorso un paio di giorni nel villaggio e istruito tutti loro nell’uso dell’oracolo. Aveva una foggia ben diversa dalla strana reliquia che Oel Odran stava utilizzando davanti ai suoi occhi ma ugualmente consentiva l’accesso al Sapere, la possibilità di scrutare nella conoscenza infinita degli dei e del popolo umano. Uno strumento potente, magico, con il quale, tuttavia, lui e i propri compaesani non erano mai riusciti ad interagire correttamente.
Quasi lo rifiutassero inconsciamente: ben presto l’oracolo che il druido aveva consegnato loro era caduto nel dimenticatoio anche per via di strane scritte che loro non erano mai stati in grado di interpretare. Jonas strinse i pugni per la rabbia: se solo fossi più intelligente e istruito forse, a quest’ora, avrei potuto aver già trovato la cura per mio figlio, proprio come Oel sta facendo con quella reliquia portatile.
Da parte sua, il druido, interpellò la rete alla ricerca di informazioni: digitando sulla tastiera interagì con numerosi motori di ricerca e, sebbene la connessione non fosse delle migliori, per via della vicinanza della foresta di Loghen e della scarsa copertura del segnlae, da lì a poco, riuscì a trovare quel che andava cercando. Secondo quanto appreso nel corso della sua breve navigazione nella fitta e infinita rete della Conoscenza Arcana, ciò che aveva ridotto in fin di vita quei ragazzi era un’intossicazione dovuta a ingestione di funghi velenosi. Di porcino cobalto silvestre, in questo caso.
Nuovamente il druido si mise all’opera e alla fine della sua ricerca, o dopo aver parlato con gli spiriti attraverso quello strano oracolo color grafite come sostenevano alcuni dei paesani più anziani, si rivolse a Jonas e agli altri genitori. Al centro dello schermo a cristalli liquidi del proprio portatile, il druido mostrò loro immagini provenienti da un’altra dimensione cognitiva. Gli uomini si guardarono perplessi l’un l’altro mentre il druido spiegava loro come procedere.
– Osservate bene, osservate tutti: se volete salvare i vostri figli dobbiamo procurare alcune piante simili a queste…
Parlò loro indicando il monitor, spiegando come solamente un infuso di fiori di “Opale del re” avrebbe potuto aiutare quei ragazzi. Nel frattempo avrebbe somministrato dei palliativi ai quattro giovani vittime dell’intossicazione e al contempo si sarebbe adoperato per far scendere la febbre con alcuni infusi che aveva recato con sé. Tuttavia non c’era molto altro tempo da perdere: era necessaria l’Opale del re per curarli.
Gli uomini lo osservarono stupiti quindi tornarono a scrutare nello strano artefatto che riportava, al centro, nella parte superiore, l’immagine di una pianta dalle foglie variopinte e striate. Sembrava fosse vera, così reale che Karleen allungò una mano per afferrarla: quel che toccò non furono né foglie né petali, come si aspettava, e un’occhiata di rimprovero da parte di Oel Odran le fece capire di aver commesso un errore. Alek invece scrutò dietro a quello strano marchingegno che il druido aveva utilizzato e che, all’apparenza, sembrava essere collegato con un’altra dimensione. Assomigliava all’oracolo che lui e Jonas avevano riposto nello scantinato del Cervo Rosso qualche mese addietro. Chissà se è ancora possibile servirsene?, pensò per un fugace istante.
Da parte sua, Jonas non sapeva se quello strano affare color grafite permettesse o meno di interrogare gli spiriti o di accedere a quella cosa che il druido chiamava “Internet”, nemmeno voleva sapere se quel che aveva visto era reale o frutto di magia druidica o chissachè: l’unica cosa che gli importava era salvare il proprio Makal. Tutto il resto non aveva importanza. Era un uomo semplice in fondo, pragmatico nell’agire e nell’affrontare la vita.

Data di creazione : 30 luglio 2008

Ultima modifica : 05 giugno 2011

NOTE:

Ho scritto questo testo sull’onda di alcune riflessioni che facevo mentre mi recavo al lavoro. Elucubrazioni sul ruolo dell’informatica oggi, di come sia percepita, dell’ignoranza e dei preconcetti che ancora taluni dimostrano nei suoi confronti. Così come è strana la percezione delle capacità e del ruolo di chi con l’informatica ha a che fare: certe volte sembra che codesti “loschi figuri” esistano per risolvere problemi. Anche non loro ma che diventano loro in un moderno scambio di oneri. Al contempo mi andava di scrivere qualcosa di fantasy, con colpi di scena e contaminazioni. Per cui, ecco spiegato come e perché è nato questo testo. Che, malgrado lo straniamento che può suscitare, spero vi sia piaciuto.

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.arteinseieme.net
  • www.crepuscolo.it/fantasystory
  • www.ilsalicenarrante.it

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