Incidente di percorso

Introduzione

Il testo che vado a proporvi l’ho scritto di getto la mattinata seguente una serata a Padova. Non si tratta di un racconto particolarmente elaborato ma di certo lo sento molto forte.
Probabilmente sono rimasto influenzato da una sequenza del film Strange Days e dalla lettura di Real di T. Inoue e da alcune esperienze realmente accadute ad un conoscente di amici miei. Anche mio nonno paterno e un mio ex – professore del liceo più o meno hanno vissuto una situazione simile. Di più, ora, non posso dire altrimenti rischierei di rovinarvi il piacere della lettura: buona lettura!

Incidente di percorso

Sto correndo sulla spiaggia.
A pieni polmoni respiro l’aria mattutina, l’odore di salsedine e la sensazione di sabbia appena umida è così piacevole sotto ai piedi.
L’acqua risplende invitante alla mia sinistra mentre una brezza leggera sembra tenere sospesi in volo macchie bianche di gabbiani in un cielo di un azzurro irreale e sconfinato.
Corro a buona andatura: mi sento vivo, libero, leggero.
Nessuna nuvola oscura il cielo dei miei occhi.
Visiera sulla testa, pantaloncini corti, torso e piedi nudi.
L’auricolare del mio lettore mp3 nelle orecchie e molte impronte sulla sabbia alle mie spalle: il mio passaggio.
Mi sento felice, capace di raggiungere ogni meta.
Il sole si tuffa e risplende attraverso l’acqua salata del mare che avanza e poi, timida, arretra sul bagnasciuga.
Corro e non voglio fermarmi.
Non lo so nemmeno da quanto sto correndo ma non voglio smettere. E’ una passione che mi anima, che mi possiede, e della quale non posso fare a meno.
C’è la vita: la sento.
In ogni movimento della mia corsa c’è tutto me stesso e l’impegno di chi sogna di vincere ogni gara e un giorno imprimere il suo nome negli annali dell’atletica leggera. Ce la farò, ce la posso fare: questo il mio credo.
I Dire Straits mi accompagnano mentre procedo sulla spiaggia: ora è “Sultans of Swing” a suonare per me.
Sorrido e continuo a correre mentre mi svuoto di ogni pensiero unicamente teso alla fisica esperienza che tanto mi fa sentire forte, vivo, presente nella storia di questo mondo moderno.
Mi spingerò fino a dove le mie gambe allenate lo permetteranno.
Delle barche all’orizzonte si muovono lontane dal mondo degli umani che, impudente, spunta subito al di là degli alberi e degli hotel al limite della spiaggia. Immobili ci osservano quasi a voler rammentare che questa sabbia e questo mare sono solo fugaci attimi di paradiso, una parentesi prima del ritorno al quotidiano.
E se le cose stanno così a ben ragione vale la pena di godersela un poco finché dura questo sole e questo tempo di vacanza.
Al contrario di me, alcune persone oziano godendosi la pace del mattino ed il sole che riscalda pelle e sabbia. Innamorati si coccolano al sole, bambini giocano e corrono e saltano mentre genitori e nonni parlano o leggono quotidiani e blande riviste di gossip.
Io invece continuo e non mi fermo.
Sto correndo da parecchio oramai e non lo so verso dove dirigono le mie gambe, dove conduce questa spiaggia al confine tra terra e mare.
Ma non importa: voglio solo correre e sfogare tutta l’energia che ho in corpo, sfinirmi per sentirmi vivo e forte.
Pronto per le gare del mese prossimo.
Vedrete, sarò sul podio!
Ce la farò!
Ma nonostante l’arroganza dei miei folli sogni di gloria non nascondo che inizio a stancarmi, a percepire il calore del giorno e soprattutto lo sforzo della corsa.
Correre è tutto per me ma, ahimè, sono umano anch’io!
Quindi mi fermo a riprender fiato presso una staccionata in legno che sorge a lato di un camminamento, unico collegamento tra spiaggia e città.
Mi appoggio un poco, giusto il tempo di riposarmi per poi ricominciare a muovermi verso casa.
Ho giusto il tempo di alcuni esercizi per i muscoli quando mi accorgo di una figura snella e sinuosa: si muove lungo il camminamento che dalla spiaggia si dirige al centro abitato.
Mi viene incontro ancheggiando sensuale.
E’ una ragazza, bella come la vita giunge sino a me.
La pelle abbronzata, i capelli corvini e gli occhi profondi. Inclina appena il capo di lato mentre mi saluta. Mi osserva incuriosita accennando ad un sorriso che ricambio istintivamente ormai perso in balia di quella bellezza ultraterrena.
“Ti piace davvero molto, vero?” mi chiede dolcemente.
“Cosa?” chiedo di rimando, ancora col fiatone, confuso ed ignaro del significato di quella domanda.
“Correre” spiega senza distogliere lo sguardo dai miei occhi inesorabilmente persi nella contemplazione della sua bellezza.
Rispondo sorridendole: “Correre è tutta la mia vita!”
Un sorriso nasce allora sul suo bel volto mentre con una mano sposta delicatamente una ciocca di capelli scivolata sulla fronte. Una luce complice negli occhi mentre le sorrido di rimando. Lentamente muove un passo verso di me…
Finalmente l’ho trovata.
Ed è allora una gioia indescrivibile, profumo di emozioni profonde, di esperienze preziose che mi fanno sentire vivo!
Sono giorni intensi, sentimenti che mi scuotono, brandelli di me che cambiano fondendosi con lei.
Tendo una mano ad accarezzarla, ma tutto sbiadisce e si perde mentre giunge il buio.

Il risveglio nel presente.

Apro gli occhi.
Nuovamente quel soffitto. Lo stesso insipido soffitto che da qualche giorno continuo a ritrovare al mio risveglio.
Bianco.
Anonimo.
Privo di qualsiasi sostegno a cui appendere i miei sogni e le mie emozioni, le mie speranze desolate.
L’aria condizionata è già in funzione per mantenere nella stanza una temperatura ideale. Per il corpo ovviamente, perché il mio animo ancora non ha pace.
Dalla finestra velata da tende chiare penetrano temerari raggi di un sole di mezza mattinata. Fuori c’è la vita, un mondo ancora in movimento.
Io invece, nonostante il prolungato riposo, mi sento ancora stanco, esausto…
Porto il braccio sinistro sopra il viso, appoggiandolo sopra gli occhi.
Con la destra invece la cerco. Invano.
Non c’è più…ma ancora non lo accetto…non ci riesco…
Soffoco le lacrime ed il mio dolore: stringo forte le palpebre quasi a voler assorbire quelle gocce d’acqua salata che dai miei occhi sgorgano tristemente.
Una smorfia sul volto. Fa male dentro, una sofferenza atroce che mi dilania l’anima.
Nessuno può capire…nessuno sa quanto dolore…
Non c’è più: devo solo accettarlo…
Me l’hanno già detto “ci vuole tempo” …ma io ancora non ci riesco…
Non è facile, non lo capite?
Non è facile per niente, dannazione!!!
Stringo il lenzuolo bianco mentre la rabbia, puntuale come sempre, torna a visitarmi nel mio letto di dolore.
Non mi serve. Arrabbiarmi non serve a nulla: lo so bene.
Non si può tornare indietro, non si può cambiare ciò che è stato.
Piango.
Come ogni mattina piango perché non sarò mai più quello che ero…
Devo solo accettarlo…
Mai più…
Non resta più nulla di quello che ero prima…
In pezzi tutti i sogni miei…
Tutto è cancellato…la mia vita…riazzerata all’improvviso…perduta come…
Dannazione!!
Singhiozzi e pianto sommesso mentre con la mano stringo il vuoto laddove prima era la mia gamba destra. Ormai perduta, divorata dall’asfalto e dall’acciaio in quel tragico, stupido, incidente d’auto…
Sul comodino una foto, il sorriso sul volto di un giovane innamorato con accanto una ragazza dalla pelle abbronzata, lunghi capelli corvini e profondi occhi scuri. Non c’è più. Portata via, per sempre, come la mia gamba sull’asfalto di quella strada di periferia.
Piango.
E’ colpa mia…
E’ solo colpa mia…

Data di creazione: 07 maggio 2006

Ultima modifica: 16 agosto 2006

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.leparoleperte.it
  • www.scrivendo.it
  • www.scrivi.com
  • www.racconti.it
  • www.arteinsieme.net
  • www.poetika.it
  • www.francamente.net
  • www.clubpoeti.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.