La domanda, la risposta

“Allora?”
Un altro pugno, violento, all’addome.
Mi piego in avanti per il dolore: annaspo e non trovo respiro. Le mani sono ancora saldamente legate dietro alla sedia su cui mi trovo ormai da più di mezz’ora. I legacci quasi mi segano i polsi, tanto sono stretti.
Qualcuno brutalmente mi afferra per i capelli e mi raddrizza con prepotenza.
La cortesia non è di casa qui.
Il dolore che avverto è acuito per via dei tagli e delle piccole bruciature sul petto; la smorfia sul mio volto lo rende ancor più evidente.
Quando li riapro, i suoi occhi assassini sono fissi nei miei.
“Ti decidi a parlare? Quanto vuoi farci aspettare ancora?”
Ho paura.
Tremo mentre le lacrime scivolano sulle mie guance.
Accanto a me il cadavere di un mio compagno: il corpo senza vita è ancora scosso da tremiti e di tanto in tanto si muove in rapide convulsioni. C’è sangue, sangue che sgorga dalla profonda ferita sul collo e che gli cola addosso fino alla pozza che sta sul pavimento.
Ha gli occhi sbarrati ed il capo rivolto verso l’alto. Stringe ancora il bavaglio che gli hanno messo in bocca prima di sgozzarlo: non ha potuto nemmeno urlare mentre lo ammazzavano.
Lui non ha parlato.
Non conosceva la risposta.
La stessa, che ora pretendono da me.
Eravamo in tre, quando ci hanno fatto entrare qui dentro, la stanza degli orrori e delle torture.
Non ci conoscevamo nemmeno, non sapevamo l’uno dell’altro o quel che ci avrebbero fatto.
Però capimmo subito che qui i diritti umani e le leggi non esistono: vige solo la violenza, la crudeltà. Ogni mezzo è considerato legittimo purché loro abbiano ciò che vogliono.
La pietà non è concessa.
E ora, di tre, solo io rimango.
Il primo di noi l’hanno percosso ripetutamente, deriso, e poi freddato con un colpo di pistola alla nuca dopo avergli prima rotto entrambe le braccia.
Per la stessa domanda, la stessa risposta che dalla sua bocca per tre volte non è giunta.
Nuovamente uno degli aguzzini si avvicina con un ferro arroventato.
Urlo terrorizzato: “Non lo so! Vi prego, lasciatemi andare. Vi prego…”
Riuscirò a sopravvivere?
E poi le mie urla strazianti mentre bruciano la mia carne. Mi contorco e divincolo, ma il dolore continua, terribile e atroce.
Nessuna pietà.
“Parla! E ti lasceremo andare: hai la nostra parola”.
Ansimo e intanto cerco di calmarmi. Stringo i denti ma il dolore è ancora lì, giovane e devastante.
Non è facile, non lo è per niente maledizione!
Mi agito e soffro: il dolore è insopportabile, come l’odore di carne bruciata che si diffonde nell’aria e mi si appiccica alle narici. Il puzzo della mia condanna.
Non lo so se posso credergli, non so più nulla.
Non doveva andare così, non doveva essere così!!
Piango in preda alla disperazione per ciò che mi aspetta.
“Non lo so”, è l’unica cosa che mi riesce di dire tra un singhiozzo e l’altro.
“Su, su, non fare così. Sei un uomo: lo sappiamo che conosci la risposta. E poi, non vorrai mica fare la fine degli altri due? Stupidi ignoranti inutili”.
Poi, avvicinando il suo volto al mio per sussurrarmi ad un orecchio, continua ad esortarmi:
“Dopotutto non ti stiamo chiedendo chissachè! Avanti, rispondi alla nostra domanda. Tu non li puoi vedere ma, dietro quel vetro alle mie spalle, i nostri padroni ci stanno guardando: non vorrai mica deluderli? Sai, loro sono convinti che tu conosca la risposta e di certo sapranno ricompensarti se solo tu…”
La mia mente in subbuglio, il mio animo turbato.
Conosco la risposta?
Cazzo cazzo cazzo….avanti! Cerca nella memoria, trova un indizio, un brandello, qualche cosa, qualsiasi: sforzati dannazione!!! La conosco la risposta???
“Su, dicci quello che vogliamo e ti lasceremo andare. Sarà stato solo una brutta esperienza, un brutto incubo, nulla di più.”
Lo osservo provando un misto di odio e di paura.
E’ un incubo? Maledetto figlio di puttana, mi hai torturato! Mi hai torturato, cazzo! E hai perfino ucciso questi altri due!!!
“Su, avanti, il tempo stringe. Questa è l’ultima possibilità che ti è concessa”.
Allora si fanno avanti gli altri due suoi colleghi: sono vestiti in modo impeccabile. Entrambi in smoking, entrambi con un fucile in mano presi dalle rastrelliere alle loro spalle.
Cinici e spietati, assassini proprio come lui
Milioni di pensieri si affollano nella mia mente.
Non so più nulla. Non me lo ricordo. Forse, non l’ho mai saputo.
“Allora? Ancora non vuoi rispondere? Facciamo così”, dice scambiando un’occhiata di intesa con gli altri due, “ora contiamo fino a 5: se ci darai la risposta sarai libero. Altrimenti, beh, lo sai anche tu cosa ti aspetta”.
Un ghigno gli illumina il muso.
Maledetto!
“1”
I due uomini caricano il fucile sincronizzati nella volontà di uccidere; l’altro lancia un’occhiata furtiva allo specchio alle sue spalle.
“2”
Il suo braccio si abbassa fino al petto.
I proiettili sono nella canna, ben posizionati prima di esplodere addosso alle mie carni. Due biglietti di sola andata per l’altro mondo.
Dannazione!
“3”
Pensa!
Pensa, cazzo! Pensa!
“4”
I due uomini si avvicinano: uno mi preme il fucile sulla tempia, l’altro sulle palle.
Sorridono sadici mentre tremo e sudo di terrore. Il cuore mi sta per esplodere nel petto. Chiudo gli occhi e spero: Dio! Dio! Dio!
“E cinq…”
“Aspetta!”, il mio grido all’improvviso, la mia voce disperata e squillante.
Sono vivo, sono ancora vivo!!
“Conosco la risposta! La conosco cazzo, la conosco!”
“Dimmela allora”
Mi si avvicina curioso e terribile al contempo. E’ freddo, troppo freddo, spietato come la morte.
“Ma è il tuo ultimo tentativo, non te lo chiederò un’altra volta. Con te sono stato anche fin troppo paziente. Dopotutto, gli altri due sono morti quasi subito e non ho nemmeno avuto il tempo di divertirmi. Neanche i nostri padroni lì dietro, credo, abbiano apprezzato il triste spettacolo che quei due pidocchiosi hanno offerto loro”.
Maledetta carogna!
“E ora, rispondi alla mia domanda”.
I miei occhi si fanno duri e glaciali, concentrati.
La mia vita si decide ora, tutto dipende da questa fottutissima risposta.
La tensione è assoluta.
“Si tratta di Mossadeq, nel 1953”.
Per me è una liberazione, ma ancora non è sufficiente.
“Non basta, devi dirmi anche dove: credevo di essere stato chiaro poco fa”.
Le sue parole sono una minaccia che accompagnano un ceffone.
Torno ad osservarlo guardandolo dal basso verso l’alto.
“In Iran…”, aggiungo.
Non mi viene in mente altro.
Sorride: i suoi occhi brillano compiaciuti.
Io ansimo e prego.
Osserva gli altri due e, ad un suo cenno, questi abbassano i fucili.
Ho risposto giusto?
E’ questo quello che volevano sapere?
E’ giusto?
L’uomo raggiunge il piccolo tavolo traballante posto al centro di questa stanza soffocante e spoglia. Afferra la ricetrasmittente militare abbandonata su di esso e discute, rapidi scambi di suoni intervallati a tragiche interferenze.
Parla piano e non comprendo le sue parole.
Ti prego, ti prego, ti prego…
La mia testa ciondola per l’agitazione mentre riprendo a balbettare.
Ho paura, me la sento addosso, fin dentro alle ossa. La morte è qui.
Dannazione! Non so più nulla, non so più nulla. Voglio andarmene, soltanto questo, lasciatemi stare, vi prego…
Poi le comunicazioni si interrompono definitivamente.
Lui mi guarda, poi mi si avvicina.
La sua espressione è indecifrabile.
Vita?
O morte?
Dio, ti prego..
“Perfetto, la tua risposta soddisfa i nostri padroni. E’ corretta, è ciò che volevamo sentirti dire”.
Le sue parole mi riportano in vita, spingendomi in alto, fin quasi al paradiso. La salvezza è qui!
Ma è una gioia effimera, che agonizza presto quando lo vedo estrarre un grosso coltello che fino a quel momento teneva legato alla cintura.
Sorride beffardo e si avvicina ancora di più.
“Noo”, protesto, “ho risposto giusto, ho risposto giusto! Ve l’ho detto, ve l’ho detto!”
Mi agito e scalcio, cerco di divincolarmi al destino che incombe.
Non voglio morire, non voglio morire!
Immediato e brutale un pugno al volto da parte di uno dei suoi colleghi di torture.
Cado a terra, stordito, ancora legato alla sedia, inerme.
A stento, con l’occhio semichiuso lo seguo mentre si sposta.
Ora mi è alle spalle.
Piango e chiudo gli occhi mentre si inginocchia.
No, ti prego…
Sento la sua mano sulla spalla.
Non voglio morire, non voglio morire!!
Con il coltello recide la corda che mi teneva bloccate le braccia allo schienale e, con cura, sega i lacci che mi stringevano le mani.
Riapro gli occhi incredulo e sollevato.
Sono vivo!
“Alzati!”, mi ordina perentorio.
Obbedisco.
Ed è allora che la stanza sembra muoversi, le pareti si spostano e si sollevano. Anche il vetro che copriva l’area di fronte a me viene tirato da parte e scompare, lasciando spazio alla verità.
La realtà diventa più che evidente mentre scolorano le mie certezze.
Telecamere e luci di scena: dal buio giunge un applauso scrosciante, e urla e fischi.
Il pubblico mi accoglie mentre il presentatore entra in scena annunciando la conclusione dello show, la mia vittoria, la mia salvezza.
Due vallete seminude mi si fanno incontro, mi baciano, si strusciano e mi offrono una busta.
Non comprendo molto bene, tanta è la confusione che alberga nella mia mente devastata da ciò che ho vissuto.
Ora, la realtà supera l’immaginazione.
Era solo un quiz, uno stupido, maledettissimo, quiz televisivo.

 

Giusto un chiarimento su “La domanda, la risposta”:

La domanda : “In quale anno è stato attuato il primo colpo di Stato appoggiato dalla CIA in un Paese del Medio Oriente?”

La risposta : “Nel 1953, il 19 agosto, la CIA organizza tumulti popolare in Iran che portano alla perdita del potere da parte di Mossadeq (per un governo laico e riformista) a favore del generale Zahedi, ben accetto dagli americani e più incline a permettere lo sfruttamento del petrolio locale da parte degli statunitensi.
Sembra che nasca da qui l’avversione antiamericana da parte del popolo iraniano e musulmano verso gli USA, quella stessa avversione che ha portato alla diffusione e alla presa di potere del fondamentalismo di Khomeini prima e del “terrorismo” di questi anni poi.
Lo stesso presidente William Jefferson Blythe III (ovvero Bill Clinton), nel 2000, ha ammesso la responsabilità degli Stati Uniti nel golpe del 1953 che aprì la porta in Iran al fondamentalismo dei mullah e poi alla piaga del terrorismo islamico.

 

Data di creazione: 05 giugno 2006

Ultima modifica: 22 novembre 2009

Note:

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.francamente.net
  • www.i-racconti.com
  • www.scrivendo.it
  • www.raccontare.com
  • www.ozblogoz.it
  • www.babyloncafe.eu
  • www.arteinsieme.net
  • www.webalice.it/andrea.mucciolo/
  • www.clubpoeti.it
  • www.straccidiemozioni.it
  • www.gliautori.it

L’immagine in evidenza è tratta dal film Le Iene di Quentin Tarantino.

 

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