La voce della guerra

INTRODUZIONE

Questo racconto mi ronza per la testa già da parecchio tempo, soprattutto a causa di ciò che sta succedendo nel mondo. E allora scrivo. Scrivo e parlo di guerra e di vita. Io la guerra non l’ho mia vista con i miei occhi, così come molti di coloro che ne parlano. I miei nonni l’hanno vissuta, la Seconda Guerra Mondiale intendo, e non ne parlano con gioia o con euforia. Questo racconto non è altro che un brano metaforico su ciò che è la guerra. O su ciò che credo sia. Ma non solo. Questo brano parla soprattutto di vita e di noi stessi, di ciò che siamo e facciamo ogni giorno, di come funziona il mondo, di come il vero potere sia esercitato da persone “invisibili”. Ma questo è scritto in piccolo, nascosto tra le parole, come accade spesso d’altronde. Parla anche di fede, perché le parole nascondono ciò che realmente sta scritto.
Dopo questa parentesi ti auguro, amico lettore, buona lettura sperando che quanto leggerai qui sotto possa lasciarti qualcosa in fondo al cuore. Qualcosa che rimanga e che non si perda logorato dal tempo.

 

UN UNICO CAPITOLO
Racconto di mille vite

Anche oggi si combatte.
L’esercito Blu attacca di nuovo: i generali nemici vogliono riconquistare il terreno che con i nostri ultimi attacchi siamo riusciti a sottrarre al loro controllo.
Dannati Blu!
Non ci lasciate nemmeno un giorno di tregua! Volete logorarci anche l’anima con questa guerra infinita che avete cominciato!
Ma noi Gialli non vi permetteremo di vincere! Non ci arrenderemo, e finché avremo vita vi combatteremo!
Vi combatteremo fino alla fine dei nostri giorni e oltre ancora!
E vinceremo!

Rintanato nella trincea, al riparo dai mille proiettili nemici che, sibilando malvagi, solcano l’aria contemplo il cielo mentre ricarico il mio fucile.
Il cielo è sereno, percorso da una tenue luce omogenea. Mi rasserena perché se anche morissi saprei che il posto che mi spetta non è affatto male: non ci sono nubi e l’azzurro di lassù è la perfezione divina.
Ho modo di scambiare qualche parola col mio vicino di trincea.
Parliamo poco, ma parlare ci è indispensabile. Sentire la nostra voce e la voce di altri uomini ci aiuta a vivere, a non sentirci soli, a non impazzire.
Quando la guerra finirà, mi ha detto, tornerà a casa sua, al sud, abbraccerà la sua Lucy dai lunghi capelli biondi e si chiuderà con lei nella sua casa di montagna per un mese almeno. Sorride.
Lo ascolto e lo capisco. Non posso guardarlo negli occhi per via dei nostri caschi gialli che ci coprono quasi tutta la testa, ma riesco ugualmente a comprenderlo. E se anche non li posso vedere, so che una lacrima gli ha velato gli occhi per un secondo almeno.
Niente ti è caro come l’amore quando senti costantemente vicina la presenza della morte. Perché l’amore è la vita, la morte il freddo del nulla. E dopo aver vissuto all’inferno, tra il sangue e la sporcizia, la vita è quanto più desideriamo al mondo.

Passata qualche ora – o questo almeno è quel che credo dato che ogni singolo istante ci sembra un’eternità quando siamo sotto il fuoco nemico – dopo aver aperto il fuoco sui Blu parecchie volte colpendo molti di loro, torno al riparo, nella trincea posta cento metri più indietro rispetto a quella in cui sedevo prima con Daniel.
Di lui rimane solo un ricordo, la consapevolezza di aver parlato con lui e di averlo visto poi cadere sotto il fuoco nemico mentre il nostro caposquadriglia ordinava la ritirata.
E’ caduto sul campo alle tre del pomeriggio, colpito in pieno da una granata antiuomo. Di lui solo il ricordo trasportato dal fumo dell’esplosione. Non un corpo né una tomba. Nemmeno un brandello di carne sarà strappato da questo avido campo di sterminio.
Ripenso a ciò di cui abbiamo parlato, a quello che mi ha detto della sua famiglia e della sua vita prima di esser stato arruolato dall’esercito.
La sua famiglia, il suo lavoro, i suoi amici…la sua Lucy… di lui non avranno altro che il ricordo.

Ora c’è movimento nella trincea: si curano i malati, all’aperto perché nessuno può essere spostato. E poi si servono il rancio incolore, le munizioni e altri beni di primaria importanza.
Strano come le cose, ogni cosa, cambi di valore sul campo di battaglia.
E poi stralci di notizie, sussurri e bisbigli mentre cala la notte. Sembra che manchino all’appello quasi 30 soldati.
Ma ancora nessuna notizia dal quartier generale. Il nostro comandante non ha ricevuto ordine alcuno, né alcuna indicazione sui nostri nemici dalla sua importante radio satellitare.
Poi cala la notte e appaiono le stelle mentre ognuno cerca la sistemazione migliore per riposare.
Una luce poco distante brilla per un po’ e poi si spegne…

Guardo le stelle e ripenso alla vita.
Alla mia vita prima di questo schifo.
Non ricordo molto se devo esser sincero: qualche volto, la mia famiglia e i sorrisi, i sorrisi felici delle persone che conosco e con cui ho condiviso le esperienze più belle della mia vita. Ricordo il mare, le ragazze seminude in costume, l’aria fresca del mattino, il sole che brilla alto nel cielo…una granata che piove dall’alto, e un’esplosione di vuoto e dolore.
La guerra…già, la guerra, questa fottuta guerra che dura ormai da troppo tempo…spesso ci interroghiamo sulla guerra…
E nessuno sa abbastanza su quel che stiamo vivendo.
Siamo tutti stati arruolati, volenti o nolenti, per difendere la patria dal nemico, per morire sui campi di battaglia, comandati da comandanti invisibili. Presi, addestrati ed equipaggiati per la morte, per la gioia del presidente che si fa bello a parlare di numeri.
Sì, i numeri della Bestia chiamata Odio.

La guerra…
E’ accaduto tutto all’improvviso e ci siamo ritrovati subito in quest’inferno. I Blu hanno attaccato e hanno raso al suolo le città del confine settentrionale. Interessi economici, credo, per via delle industrie e delle miniere di quelle zone. Lo stato dei Blu era in crisi già da parecchio, e nei nostri confronti hanno sempre nutrito risentimento per via di passati eventi storici.
O almeno, così dev’essere andata.
Altrimenti non si spiegherebbe quanto è successo. Niente diplomazia, non una parola: si è passati subito alle armi.
E da quel giorno lontano molti sono morti. E molti ancora moriranno sui campi della disperazione.
La morte che ti prende all’improvviso.
Si muore da soli in guerra. Da soli e piangendo. Senza nessuno cui aggrapparsi. Senza nessuno…Mi sento solo, e a volte piango. E siamo a migliaia…come le stelle della notte: così tante e così lontane. Anche tra di loro. Anche tra di noi…

Anche oggi si spara.
Si sparano con ferocia tonnellate di odio. Uccidere non ha alcun senso. Ma se uccidi significa che sei vivo. E poi non vedo persone laggiù, solo luridi assassini dalle mani insanguinate. Con le mani sporche di sangue innocente. E allora prendo la mira e sparo. Una raffica di colpi mentre attorno si fa silenzio, o questo è ciò che sento. Non sento gli spari o le grida degli altri. Ma conto ogni singolo bossolo che cade dal mio fucile. E sento ogni singolo soldato urlare mentre muore ucciso dai miei colpi.
Lontano, i nemici ruzzolano al suolo con le loro tute blu e i loro sudici caschi insanguinati, crivellati di colpi.
Vedo i loro corpi per terra. Ma non vedo nessuna anima levarsi in cielo. Ansimo e tremo.

Per molti giorni ancora si combatte. Oggi difendiamo, domani attacchiamo conquistando terreno. Guadagniamo terreno e poi lo perdiamo.
Un pendolo che oscilla senza senso. Questa guerra non la comprendo.

La pensa così anche il compagno che sta rintanato vicino a me in questa trincea fangosa e piena di escrementi e di puzzo.
Si chiama Paul e dalla voce direi che è giovane. Non lo posso vedere per via del casco, questo dannato casco che non possiamo toglierci mai e che di noi lascia intravedere solo la bocca ed il mento.
Nemmeno lui sa perché combattiamo. Come tutti d’altronde. Ma sa che vinceremo e che non vuole star qui molto.
Qui non gli piace – come dargli torto d’altronde? – e vuol tornare a casa al più presto. A casa, a festeggiare la pace e la nuova epoca con la sua Lucy, dai lunghi capelli biondi. Mi parla un po’ di sé e della sua famiglia, del suo lavoro e della sua casa in montagna dove festeggerà con la sua amata un mese di passione almeno.
E io gli parlo di me, perché sotto queste tute gialle macchiate di terra e di orrore, ci siamo ancora noi, degli uomini in carne ed ossa. Momentaneamente votati alla distruzione certo, ma siamo sempre uomini, con un’anima ed un cuore.
E continuiamo a parlare, mentre la pioggia scende impietosa e i colpi dei nemici non risparmiano le nostre difese. La guerra finirà, mi dice, ma io penso ad altro…vaghi ricordi e uno stranissimo senso di deja-vu.
Poi alzo gli occhi e guardo il cielo, scuro e nero. Denso di nubi, ovunque una tonalità omogenea. Irreale.
La pioggia è soltanto un momento effimero: di nuovo torna il sole.

Ancora si combatte e si spara e ancora non ci giungono notizie dalle città.
In una nostra offensiva riusciamo a conquistare parte della trincea nemica. Credevamo di averli annientati tutti, ma uno dei Blu lo troviamo ancora vivo. Sanguina, ma respira ancora.
Uno di noi ha già pronto il fucile, ma un sergente gli intima di fermarsi. Ci sarà utile, ci promette. La vendetta degli amici uccisi può attendere.
Per ora.
Un gruppetto di noi gli si avvicina e lo solleva. Addirittura gli farà da scorta nel tragitto che lo condurrà dinnanzi al nostro comandante. Potremo ricavare preziose informazioni da quello che a quanto pare è il primo prigioniero di questa strana guerra. Niente prigionieri. Questi gli ordini. Niente prigionieri, solo soldati Blu morti.
Lo portiamo al centro di comando: un’imponente costruzione di pietra a circa 5 km dal campo di battaglia. Aspettiamo il comandante perchè lo interroghi e ottenga importanti conoscenze sull’esercito nemico. La conoscenza ci porterà alla vittoria.
Ma non appena lo vede il comandante si arrabbia, impreca e urla perché non si possono fare prigionieri: è la legge!
Alcuni di noi sono perplessi e il sergente a capo del gruppetto cerca di far ragionare il comandante. Sono giorni dopotutto che non riceviamo notizie dal quartier generale. E le informazioni che il prigioniero ferito può fornirci ci saranno utili per combattere il nemico. Questa guerra ci sta logorando. E i soldati vogliono sapere cosa sta succedendo…e perché ogni giorno devono combattere e morire.
Perché questa guerra? Per quale motivo voi Blu ci state attaccando? Domanda allora il comandante, un vecchio dalla voce pacata che suona metallica attraverso il casco che indossa.
Il prigioniero ride, a fatica, ma ride e, tossendo e ringhiando, ci dice di non prenderlo in giro. Non scherzate, dice con fatica, siete stati voi Gialli a cominciare sterminando le popolazioni Blu sul confine con le vostre miserabili bombe! Vigliacchi! Ansima per lo sforzo. Avete sterminato degli innocenti e ora mi chiedete perché combattiamo? Ci avete attaccato all’improvviso. Intere città distrutte. Anche la mia città…la mia famiglia, il mio lavoro…i miei amici…la mia Lucy… Ho perso tutto, urla, tutto! E ora mi chiedete perché combattiamo?
Non lo posso vedere ma il prigioniero sta piangendo mentre si dibatte dalla morsa dei miei compagni che tentano di bloccarne i movimenti.
Noi tutti invece siamo vuoti. In balia del dubbio e dello sconcerto.
Tutti.
Il comandante tace e osserva il prigioniero, riflettendo. Le cose non stanno così, questo lo sa bene. Ma perché i Blu dovrebbero ingannare i propri soldati. Certo, così i soldati combattono con il cuore, per vendicarsi, per ripagare con la stessa moneta i Gialli, assassini di innocenti. E le città di confine comunque le hanno distrutte anche a noi Gialli…ma di certo noi non abbiamo attaccato per primi. Che motivo avremmo avuto? La nostra è un’economia forte. E il nostro governo non ha di certo mire espansionistiche…
E poi in un istante tutto si risolve.
Il prigioniero sa che chi gli sta di fronte comanda il battaglione che da mesi sta resistendo alle armate del suo Paese. Con un ultimo strattone si libera dai suoi guardiani e, rapido e veloce, si lancia verso un arma: basterebbe un colpo per uccidere il vecchio in uniforme gialla che gli sta di fronte.
Un colpo, e i Gialli rimarrebbero senza comandante.
Ma il colpo che parte non è quello sparato dal prigioniero, bensì quello di un soldato alla mia sinistra.
Un colpo e il prigioniero è a terra. Morto.
Lo solleviamo per toglierlo dalla vista del nostro comandante e in quell’istante scopriamo la verità.
Il casco blu che copriva il volto del prigioniero, danneggiato dal colpo letale di poco fa, scivola a terra.
Osserviamo tutti quel volto, il volto dei nostri nemici, quasi scoprendo solo ora che anche i Blu sono umani.
Passa un istante, un secondo di riflessivo silenzio. Ad un tratto Will si toglie il casco: sa benissimo che ci è proibito toglierlo, perché i gas presenti nell’aria ci annienterebbero all’istante. Questi campi di battaglia sin dal primo giorno di guerra sono stati contaminati da gas velenosi che infettano le mucose nasali. Vi ringraziamo Blu, anche per l’aria che respiriamo!
Ma anche senza casco Will riesce a stare in piedi. E non sembra soffrire. Niente.
Anche lui ci guarda stupiti e dopo tanto tempo scopriamo nuovamente che anche noi siamo umani, sotto queste uniformi e questi caschi gialli siamo umani!
E in un istante la verità sulla guerra ci appare più vicina che mai.
Il volto di Will e quello del prigioniero senza nome sono identici!

Una bandiera bianca si leva alta dal nostro campo. Il colore bianco in mezzo al caos multicolore della guerra, il candido colore della verità, il colore della pace. Il colore delle nubi che si muovono pigre nel cielo chiaro e sereno.
I nemici smettono di sparare e finalmente viene organizzato un incontro tra i nostri due eserciti.
Per la prima volta, a parlare, non erano le nostre armi.
Tutti i nostri soldati avanzano verso il nemico e all’unisono ci togliamo il casco giallo che ci copre il volto nascondendoci dal mondo. Anche il comandante si toglie il casco e respira a pieni polmoni l’aria del mattino.
I Blu ci guardano stupefatti. Alcuni ridono. Uno prende il fucile per puntarlo contro di noi, ma una mano lo ferma subito e decisa. E’ il loro comandante. Nonostante conosca la verità sull’aria che ci circonda, irreparabilmente contaminata dal virus mortale che mesi prima i Gialli avevano liberato nell’atmosfera, vuole fidarsi delle parole del comandante nemico.
Si toglie il casco e così fanno anche i suoi soldati.

Ci guardiamo, studiandoci. Migliaia di uomini allo specchio con una o più immagini a riflettere noi stessi. Anche le storie che portiamo nel cuore sono uguali.
Molti rimangono in silenzio. Molti vomitano l’anima. Soltanto il vento e un pesante senso di vuoto serpeggiano tra noi.
Pian piano incominciamo a parlare quasi scoprendo solo adesso di avere in comune anche la stessa lingua.
Il cielo inizia a rannuvolarsi mentre i generali e i soldati parlano cercando di sapere cosa stia realmente accadendo. E soprattutto perché stavamo combattendo. Già, nemmeno l’ombra di un segno che potesse rivelare chi avesse ragione: se i Gialli o i Blu. O forse era stato un terzo Paese ad aver approfittato di questa situazione ingannando entrambi gli Stati e coinvolgendoli in una guerra assurda soltanto per vedere indebolirsi le difese di entrambi i Paesi.
Nessuno sa niente.
Nessuno, qui, ha mai saputo niente.

Il cielo si fa sempre più scuro e minaccioso: la bandiera bianca stona e contrasta con il cielo nero e ventoso.
Nel frattempo una moltitudine immensa di uomini si dirige a nord, verso il confine. Decisi a raggiungere la città più vicina, decisi a raggiungere la verità.
Da moltissimo entrambi gli eserciti si trovavano tagliati fuori dal mondo, isolati dagli stessi governi per cui combattevano. Una moltitudine di uomini, Gialli e Blu insieme, si dirige a nord mentre il cielo preannuncia un violento temporale.
Camminiamo per qualche ora, parlando e ipotizzando le più diverse teoria. E poi accade l’imprevisto.
Troviamo un ostacolo che non riusciamo a spiegarci: una barriera invisibile e indistruttibile ci blocca. Cerchiamo di abbatterla ma non riusciamo nemmeno a scalfirla. Tentiamo di scavalcarla, ma la barriera non ha un’altezza che sia possibile superare. Proviamo ad aggirarla, ma ci ritroviamo a camminare per molto tempo, fiancheggiando la parete invisibile che ci rinchiudeva in quello che ora non e’ più un campo di battaglia, ma un immenso cimitero bagnato dalla pioggia e dalla macabra forma di un’arena.
Dopo aver percorso una lunga distanza ci ritroviamo al punto di partenza: la barriera è in realtà un cerchio!
Un cerchio perfetto è la perfezione divina. Ma in realtà, per noi, questo cerchio è l’inferno
Eravamo in trappola e non lo sospettavamo nemmeno! Abbiamo vissuto per mesi in un campo di battaglia dal quale non potevamo uscire. Ma da qualche parte siamo comunque entrati, giusto? E da lì usciremo!
Ma non è così. Niente è mai come sembra. Soprattutto in guerra dove tutto si trasforma e cambia col vento.
Migliaia di voci gridano al cielo nero in tempesta, squarciato da nubi. Poi accade qualcosa di sorprendente: tutto si blocca e si ferma.
Il tempo si annulla. La pioggia rimane sospesa e immobile in aria, un lampo è paralizzato tra le nubi mentre il vento tace.
In un istante le nubi scompaiono e il cielo si apre.
Una finestra sul mondo, credo.
C’è qualcuno al di là di quello che sospettiamo essere una grande vetrata situata a centinaia di metri di altezza. Soltanto ora mi accorgo di non aver mai visto aeroplani o uccelli volare, nemmeno la notte quando tutto era la pace dei ricordi.
C’è qualcuno lassù nel cielo, figure luminose che sembrano umani: figure a noi ignote sembrano scrutarci da altezze a noi precluse.
Stupiti attendiamo un segno. Qualsiasi segnale.
Ma non ci giunge nulla da quelli che per un attimo abbiamo pensato essere angeli. Ma gli angeli brillano di una luce che proviene dal loro cuore e non s’irradia luce benevola da quella misteriosa vetrata.
E non sono nemmeno dei, perché non vi è amore nella loro presenza.
Migliaia di uomini in silenzio guardano al cielo.
Al di là del vetro tra le nubi vediamo cinque figure confabulare tra di loro. Discutono, credo, ma non so cosa dicono.
Parlano di noi, questo è certo.
Poi smettono: uno di loro scuote la testa mentre un altro lascia la “stanza” in cui stava con gli altri.

E in un istante siamo tutti a terra, con le mani alle orecchie per proteggerci dal suono acuto e fastidioso che ci tempesta l’anima. Un sibilo, orrendo e infinito. Il suono di mille pugnali che lacerano il cuore. Vedo gli occhi di chi mi sta attorno. Vedo migliaia di persone contorcesi all’unisono cercando di contrastare un dolore che non è umano. Solo il sibilo nelle orecchie, e migliaia di urla insieme. E’ il suono della morte, lo sappiamo bene. Sento le lacrime calde della vita rigarmi il volto….ripenso alla mia casa, alla mia famiglia…ai miei amici…alla mia donna…Il cuore è fermo….il cervello smette di pensare. E’ la fine. La Fine!
E poi il Buio.

Anche oggi si combatte. I Blu avanzano da Est mentre i Verdi continuano ad attaccarci implacabili da nord. Fortunatamente i Gialli hanno subito pesanti perdite nelle offensive dei giorni seguenti e stanno sulla difensiva, leccandosi le ferite, preparando il loro prossimo attacco.
Dal quartier generale ancora niente.
Mentre i Blu sparano ricarico il mio fucile, al riparo, nella trincea che puzza di escrementi. Odori impietosi e tremendi. Ma anche questi sono segni buoni del presente.
Se li senti, allora sei vivo.
Mentre preparo la mia arma per la prossima raffica, Bob, il compagno che mi sta tenendo compagnia nella trincea, parla della sua vita prima della guerra, della sua famiglia e della sua Lucy, dai lunghi capelli biondi e di quello che le farà quando tornerà a casa. La guerra la vinceremo noi, mi dice, non conquisteranno mai lo Stato dei Rossi!
Non so se credergli o meno.
Ho il cuore a pezzi. E questo casco rosso che porto sulla testa, come tutti d’altronde, è solo un peso.
Rimpiango l’aria, quella vera, quella limpida e pura della mia città. Forse non sarà pura e perfetta, ma non odora così tanto di sangue e di morte.
Appoggio la schiena alla parete della trincea e guardo il cielo.
Solo lassù trovo il coraggio per spegnere la mente e voltarmi contro i nemici e sparare e sparare senza curarmi di loro e delle loro vite. Il cielo è limpido, senza nuvole, di un blu perfetto che non ha niente a che vedere con il colore della mia anima, sporca e macchiata del sangue di molti uomini.
Voglio tornare a casa….Se lassù c’è un Dio, spero che metta fine a questa follia per sempre.
E poi non c’è più tempo, mi alzo e apro il fuoco. E tutto si perde nel caos della guerra.

Fine?

Data di creazione : 18 Settembre 2002
Ultima modifica : 01 Novembre 2006

 

NOTE:

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.scrivendo.it
  • www.clubpoeti.it
  • “Adotta un libro” (www.serviziculturali.org/NUKE/)
  • www.leparoleperte.it
  • www.isogninelcassetto.it
  • www.pennadoca.net
  • www.racconti.it
  • www.giovanipoeti.it
  • graphite.forumfree.it
  • www.poetika.it
  • www.arteinsieme.net

 

Riviste:

Inserito nel numero 37 della rivista letteraria Isola Nera, rivista letteraria internazionale curata anche da Giovanna Mulas

Pubblicato sul numero 5/6 (anno 12) della rivista letteraria Inchiostro, edita da Il Riccio Editore, e divulgata per il semestre dicembre 2006/aprile 2007.

 

Partecipazioni:

07 ottobre 2005: Con questo racconto ho partecipato all’10° edizione del Concorso Letterario A. Baratella organizzato dal comune di Loreggia (PD).

 

Riconoscimenti:

Concorso A. Baratella, 10° edizione: segnalazione di merito per la sezione Letteratura – Racconti Brevi

Finalista nell’edizione 2006 del Premio Alois Braga indetto sul sito I Sogni nel cassetto

 

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