Livellare gli iceberg

Livelliamo gli iceberg per stare più tranquilli.
Tolta la punta che emerge dalla superficie il problema più non sussiste, no?
Giusto!

Sbagliato.

Sembra quasi che sia un gioco mediatico: crea la paura del momento!!
L’anno scorso, in questo stesso periodo, andava di moda quella per i pitbull.
Probabilmente, il mese prossimo, toccherà al petrolio, con il suo prezzo spaziale, mentre era lo tsunami a movimentare la calma piatta del dopo Natale.
Un po’ mi sento come una sorta di marionetta, una bambola voodoo manovrata ad arte.
Vi spiego meglio perché.
I problemi, nascono all’improvviso: non sono mai manifestazione di un lungo e graduale processo.
Non dobbiamo capire le cause del tramonto oppure comprendere cosa tale fenomeno significhi o comporti.
Al giorno d’oggi basta dire che il sole termina e che giunge la fine.
Non c’è il prima e non c’è il dopo.
Solo un evento e la sua opinabile interpretazione.
Di conseguenza nasce un pensiero, famelico, di rabbia e di odio verso il sole che ci condanna.
Ma forse, vado troppo di fretta.
Rallentiamo e torniamo al presente.
E’ in atto una costante, lenta, graduale, inesorabile manovra correttiva.
Le nostre facoltà di pensiero sono distorte, le nostre paure indotte e ad un tratto non siamo più noi che pensiamo.
Agiscono per noi i pensieri con cui ci nutrono.
Ogni tanto, qualcuno entra in conflitto con tutto questo, inizia a soffrire e a degenerare. Ma di questo, nessuno si cura.
L’importante è controllare le masse, garantire la sopravvivenza del grande circo.
Tutto, al giorno d’oggi, tutto è collegato, è parte di un sistema che propone canoni estetici, modi di pensare, architetture di pensiero già preconfezionate: i mezzi per garantire la sopravvivenza di un mondo economico basato sul nulla.
Per associazioni di idee, pensiamo per un momento al nazismo.
Anche a scuola i piccoli ed innocui problemi di matematica portavano i bambini a pensare come il fuhrer: “Se un ospedale psichiatrico costa 6 milioni di marchi e una casa per lavoratori 100000 marchi, quante case per lavoratori posso costruire al posto di un ospedale psichiatrico per esseri improduttivi?”
Cosa c’entra tutto questo?
Beh, da allora sono passati quasi 60 anni e ancora non abbiamo imparato la lezione.
Oggi come allora, ci viene suggerito il modo di pensare inducendo in noi paure e desideri, gli slanci per vivere appieno in questo moderno mondo economico globale!
E quindi, ecco che giocano con le nostre paure.
Torna la paura per l’uomo nero, per gli immigrati clandestini, per gli africani e gli albanesi, per i veri colpevoli di ogni nefandezza!!
Vanno castrati, deportati, fucilati!!
Ecco cosa mi suggeriscono le notizie di questi giorni: non esistono criminali italiani, solo extracomunitari clandestini portatori di criminalità.
Eppure…sono i nostri italiani a facilitare il loro arrivo, a vender biglietti per fantastici viaggi con barconi malandati, ad avviare gli uomini al lavoro nero e le donne al fiorente mercato della prostituzione.
Che poi, diciamocelo, a confronto con i delitti di mafia, gli extracomunitari sono dei provinciali!
Però è colpa loro se le cose vanno male.
Non dei nostri mafiosi o dei grandi truffatori italiani: loro non contano.
Ma tutto questo sembra non importare: non esistono i problemi, ma solo scandali che esplodono improvvisi e che richiedono immediata soluzione.
Come la giornata per la fame del mondo: una, mentre nel resto dell’anno la fame non esiste.
Oppure…non esiste il costante lavoro di missionari e volontari.
Ma tutto questo non aiuta, o sbaglio, per farvi capire come in realtà sia facile manipolare l’informazione.
Torniamo ai fatti di cronaca, agli stupri, che riescono sempre a scuotere gli animi popolari.
Da quasi un anno, non esisteva nemmeno più quella parola mentre è sempre attuale il problema immigrazione.
Basta quindi un’addizione e compaiono immigrati stupratori che colpiscono, ovunque, con sincronismo perfetto.
Attenzione però: non giustifico e non intendo farlo, un comportamento simile. Rimane un crimine, una violenza, e come tale va punita. Però esigo correttezza e giustizia a tutto tondo.
E soprattutto non riesco a fare a meno di pormi qualche domanda: perché ora? Come mai solo extracomunitari?
In questi giorni, non esistono militari italiani? Le nostre truppe impegnate qua e là di cui si parla quasi ogni giorno? Come delle finte guerre, d’altronde?
E tutto, tutto, è cominciato con un giovane barista accoltellato. Da lì, da un fatto di cronaca, lo scandalo, lo scoop, il fenomeno del momento. Una notizia che vende, potrei dire.
Da quel momento “è tutta colpa degli immigrati”.
Incanaliamo l’odio, la frustrazione e il malcontento verso una moderna forma di razzismo (un po’ come nel MedioEvo e la “paura del diverso”, no?).
Prenderemo provvedimenti contro i poveracci: chi vuoi che li difenda?
Anzi, eliminandone alcuni, staremo più tranquilli, in pace con la coscienza.
Eppure, fino a poco prima, nessuno mai si era lamentato di quel quartiere oggi così malfamato…
Oppure no?
Perché se queste cose accadevano anche prima, come mai non se ne sapeva niente o non si è mai agito per migliorare la situazione?
Rimane comunque che un bel giorno di giugno è stato scelto quale inizio per la nuova paura dell’estate.
Sistemando gli immigrati, potremo stare tutti più sereni.
Eppure…eppure non ne sono convinto.
La vita mi insegna che i problemi non sono mai semplici da risolvere, isolati da tutto il resto.
Sono come erbacce dalle lunghe radici.
In qualche modo, tutto è sempre collegato e va capito e indagato se si vuole risolvere veramente il problema.
Altrimenti, lo si rinvia solamente.
La violenza, quella di cui siamo stati testimoni in questi giorni e quella ordinaria che ogni giorno subiamo attraverso i media, non è prerogativa solo degli stranieri. Lo sappiamo bene.
Quindi, anziché parlare di cosa farne dei colpevoli, sarebbe più utile evitare che vi siano in futuro altre vittime ed altri carnefici.
Un problema, per essere risolto, va studiato e compreso.
Se invece preferiamo optare per un’illusoria soluzione temporanea, ben venga: sarà una coperta contro il gelo dell’inverno.
Però dobbiamo esserne consapevoli, riconoscere che stiamo solo semplificando la faccenda, scansando il problema, livellando gli iceberg.
Livellare gli iceberg, ovviamente, non è un’azione molto sensata e lungimirante: in questo modo i problemi si faranno più nascosti, più difficili, più tremendi.
Ogni giorno, invece, ci vengono mostrate le punte di questi iceberg che affliggono la società insegnandoci a evitarli o a livellarli: diventa quindi difficile capire ciò che viviamo finché non ci immergiamo, finché non affondiamo.
Ma non è ciò che vogliamo, mi auguro.
Quello che io desidero, e spero di non essere l’unico ingenuo sognatore ancora in circolazione, è capire veramente ciò che stiamo vivendo.
E’ il solo modo per aiutare e contribuire ad un futuro migliore.
Comperare false soluzioni non porta a niente, è semplicemente un rinviare a domani.
In un certo senso, livellare gli iceberg significa creare pericoli maggiori per le navi di domani.

Se la nostra società è affetta da così tante manifestazioni di violenza, proviamo a risalirne il flusso fino ad individuarne l’origine.
Quale l’origine della violenza?
Origina dall’insofferenza generata da un modo di vivere che non pone al centro di sé l’uomo ma solo un consumatore che deve essere in grado di provvedere alla soddisfazione di sé?
Origina dalla mancanza di contatto umano, dall’assenza di comunicazione?
Origina dall’esiguo investimento fatto sull’educazione delle persone?
Da dove origina la violenza di cui siamo testimoni?
Forse, la risposta è la stessa sia che si parli di stupratori extracomunitari o di tifosi indiavolati.
O forse, in realtà, tutta questa violenza nemmeno esiste.
Forse, spostando la telecamera di qualche giornalista avremmo visto un’umanità differente.
Magari tutto si riduce a questo, ad una questione di prospettiva.
Basterebbe poco, allora, per provocare quel cambiamento che aiuterebbe il nostro presente.
Basterebbe poco per insinuare il dubbio nelle persone e portarle a ragionare anziché a subire le informazioni.

 

Data di creazione : 27 giugno 2005

Ultima modifica : 22 novembre 2005

NOTE:

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.scrivendo.it

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