Un ampio respiro

INTRODUZIONE

Non ho la più pallida idea di cosa sto per scrivere. Ho solo voglia di scrivere, di comporre parole a caso, seguendo il movimento caotico dei miei pensieri, e leggere il risultato.
A volte, le grandi opere nascono per caso.
Non è questo il caso. Solo l’eccezione che conferma la regola.

Un ampio respiro

Suona la sveglia.
Oggi non mi aspetto nulla.
Non ho nulla di importante in ballo.
Spengo la sveglia: mi alzerò tra qualche minuto.
Non sarà certo un oggetto a stabilire i miei orari.
Mi giro sul fianco destro: mi stiracchio e sbadiglio.
Poi raccolgo le idee, qualche straccio di pensiero. Qualcosa da fare ce l’ho in realtà.
Mi alzo. La doccia e la colazione. Alla tv un’inutile serie di programmi: pubblicità, televendite, telegiornali, attualità, telefilm e repliche di talk show.
Spengo la tv. Non ha più molto da dirmi di questi tempi.
Finisco il mio caffelatte. Temporeggio e poi lavo i piatti.
E’ inutile mentirsi: sono cose che van fatte.
Torno in bagno. Poi esco di casa.
Il cane mi fa le feste: salta e corre tutt’intorno.
Mi chiedo come dev’essere vivere un giorno da cane. Sinceramente potrebbe essere un incubo: quella lingua sempre fuori, quel perenne guardare in alto, quella gioia spensierata nel far cose inutili.
E poi non avrei nemmeno il pollice opponibile e non potrei parlare. Nemmeno potrei scrivere.
Gioco un po’ con il mio cane. Le voglio bene, perché anche lei mi vuole bene. E’ strano. Gli animali ci riescono a voler bene incondizionatamente. Per le persone invece le cose funzionano in maniera differente.
Forse, tutto sarebbe più umano se fossimo più disposti ad amare.
Poi esco, mentre lei continua a scodinzolare con la palla arancione in bocca: vorrebbe giocare ma, purtroppo, non ho tempo da dedicarle. Delusa mi osserva mentre mi allontano al di là del cancello grigio: i suoi ululati mi accompagneranno per un poco.
Vado prima in macelleria e poi, subito dopo, in panificio a prendere il pane. E’ strano come certa gente non abbia consapevolezza degli altri e non si accorga di chi sta in coda con loro o si trova nelle immediate vicinanze. Ma forse posseggo insospettate doti ninja: chi lo sa? Ah, la gente inutile che non conosce se stessa ma che conosce il mondo! Come quella cicciona, la lottologa dell’altra sera negli studi di TeleChiara. Non mi ha fatto nulla, né lei né il suo accompagnatore. Nemmeno la conoscevo a dirla tutta. Ma è stata una sensazione di odio a pelle: i suoi discorsi e il relativo comportamento hanno solo dimostrato il teorema. Tra l’altro, nella sua umile disposizione al dialogo, ha sfasato tutto i tempi televisivi…lei, che in televisione ci va più di quegli studenti universitari, i veri ospiti della trasmissione!
Ma d’altra parte sono le persone come loro, stupide e ignoranti, che sanno calpestare gli altri credendo di conoscere il mondo, che sanno prostituirsi e atteggiarsi, sono loro che riescono a creare il mondo.
Assurdo.
Assurdo che persone ignoranti ti spieghino la verità del mondo. Di un mondo che vivono e che contribuiscono a far andar avanti. Di un mondo che loro stesse hanno creato e che di certo andrebbe cambiato.
Sorrido e mentre continuo a passeggiare ripenso a quella serata fuori dagli studi televisivi: avevo accompagnato un amico. E mentre attendevo osservando la trasmissione dai monitor, ho impiegato mezz’ora a spiegare un fatto matematico ad uno stupido che non stava neanche ad ascoltare ma che pretendeva di avere ragione e di rivelarmi la verità. E prima ancora avevo trascorso mezz’ora con una cicciona che stava a spiegarmi come funziona la tv, che stava a spiegarmi cosa vuole il pubblico. Il pubblico è stupido e vuole tette e culi e canzoni e cazzate e “dudu da dada”.
Come darle torto?
Attenzione, ecco la risposta: ci sono anch’io tra il pubblico!
A questo mondo ci sono anch’io e questo non e’ un fatto irrilevante. Sono una voce tra tante. Inascoltata per il momento, ma comunque esistente.
Ma, dopotutto, che cosa voglio io?
La strada prosegue dritta fino allo stop laggiù in fondo.
Il cielo è luminoso e relativamente limpido; le nuvole si muovono pigre danzando in quell’infinito spazio azzurro senza tempo e dimensione.
Il seccante ronzare di una falciatrice: qualcuno sta tagliando l’erba.
Una commessa fuma una sigaretta appena fuori dal negozio. Fuga e relax.
Già, che cosa voglio io…è una domanda difficile a pensarci bene. Come faccio a sapere cosa voglio? E’ come portare un bimbo in un negozio e chiedergli di scegliersi un giocattolo. E quando finalmente l’ha comprato portarlo a spasso verso un altro negozio di giocattoli. E allora, guardandosi attorno, e guardando al giocattolo appena comperato, cosa dovrebbe pensare il bambino? In base a quale criterio aveva scelto prima di conoscere la verità del marketing? Come scegliere se non si sa cosa si può avere? Aspetta…ma cosa sto dicendo? Non si tratta mica di comprare, ma di costruire. Strano, a volte me ne dimentico.
Mi fermo ad osservare i tizi in uniforme fosforescente impegnati a lavorare sulla strada. Eppure ieri sembrava a posto…magari sono lavori finti…di “manutenzione” preventiva.
Ecco, queste sono le cose da evitare: giocare con i beni pubblici.
Non è possibile trovare perennemente questi bipedi vestiti di arancio indaffarati a riparare danni inesistenti. Asfaltare le strade: a che serve se poi son le betoniere a farlo cedere quel dannato cemento!
Ripenso a quel film “Un giorno di ordinaria follia” e rido all’idea di procurarmi un bazooka e di andare a pretendere la verità da chi gestisce i lavori pubblici.
Attraverso la strada.
Una vecchia, in bici, mi passa a fianco.
Contromano.
Soffoco un insulto: se fossi in auto dovrei lottare con il giusto istinto di farti secca!!
Le regole cambiano in base alle persone. Le regole in fondo, sono un modo di pensare.
E la gente, per lo più, pensa raramente.
Me ne accorgo ogni volta che lavoro in quel grande ipermercato.
Finalmente in panificio. Aspetto il mio turno. Osservo. Una commessa al telefono, due servono i clienti, un anziano stringe cinque euro nella destra, due donne parlano. E’ il mio turno. E nuovamente la domanda: cosa voglio?
In questo caso del pane, facile no? Ma negli altri giorni della mia vita, esattamente, cosa vado cercando?
Esco dal panificio e torno verso casa. La mattinata non è male, il sole scalda timidamente il mondo.
Ultimamente mi sembra di non avere mai abbastanza tempo.
Eppure il tempo c’è. E se non c’è lo possiamo fabbricare. Certo, serve solo sacrificarsi un po’. Ma per certe cose o per certe persone certi sacrifici si fanno con piacere.
Ma tanto, a lei sembra non importare. Nove ore di lavoro o nessuna, non ha importanza. Nemmeno un momento per riposare, ma subito in macchina per raggiungerli, per raggiungere i miei amici, per raggiungere anche lei. Il tempo lo si annienta, se il motivo ne vale la pena. Ma forse lei lo sa, lo sa che ho corso. O forse avrebbe avuto importanza se fossi stato un altro…
Dovrei smettere di pensarci. Dovrei smettere di pensare a lei, dovrei ma nessuno mi spiega come fare. Perché nemmeno il subconscio ti aiuta mai? Nei momenti in cui sei solo, quando non puoi fare a meno di pensare, quando stai per addormentarti, lui arriva e non ti da pace. Maledetto!
Eppure, a ben pensarci, è una forma di sincera conoscenza…
Ormai sono quasi a casa.
Cosa voglio? A questo non ho ancora risposto.
Forse, non risponderò mai.
Forse, non esiste una risposta precisa o magari è qualcosa di cangiante, in costante mutamento mano a mano che esploriamo la vita.
Le undici e un quarto: tra poco dovrò partire.
Esco di casa.
E allora eccolo, il mio gatto. Arriva sempre all’ultimo, con il suo fare lusinghiero, strusciandosi addosso alle gambe. A volte, vorrei ignorarlo, vorrei trattarlo male, fargli capire che non è lui a comandare.
Poi gli do da mangiare e lo coccolo un po’.
Il mio gatto.
Forse dovrebbe essere lui, guardandomi, a dire “il mio padrone, il padrone che mi son scelto”. Perché è lui che mi ha scelto, venendo ad abitare a casa mia da quando l’hanno abbandonato, due anni fa, nel parcheggio dell’ULSS vicino a casa. Bisogna essere bastardi ad abbandonare gli animali.
Ma nel mondo c’è di peggio, c’è chi gioca ad abbandonare le persone…dopotutto sono animali anche le persone, no? Cioè, non siamo né vegetali né minerali…
Umorismo idiota a parte, alle volte, stando ai telegiornali o anche solo all’esperienza diretta, vien da pensare che davvero questo presente è tutta una merda, soprattutto quando si scoprono neonati abbandonati come rifiuti nei cassonetti della spazzatura…
E fosse solo questo…tra rapine, stupri, truffe, uccisioni, guerre, politici falsi e nascoste verità…non c’è niente che vada bene: questo il messaggio.
Ma non è così!
Non è così vi dico!
E non è questione di ottimismo.
O di mera ingenuità.
Non è nemmeno questione di essere giovani.
Io posso regalare la mondo la cura, la cura per diventare migliore.
Ora, ci sono anch’io!
Pensateci: io ci sarò, quando avrete bisogno di aiuto.
Ci sono, e ci sarò!
Le guerre, l’inquinamento, la violenza senza senso negli stadi e nelle case, il governo e la gente di merda che comanda e che non ha coscienza, il razzismo e i tumori, le famiglie che si distruggono, gli immigrati che cercano un futuro, la guerra dei prezzi e i saldi di fine stagione. E poi gli USA e questi cazzo di terroristi. Ma chi credete di imbrogliare? Io un’idea ce l’ho di come stanno le cose, ma non è questo ad avere importanza.
Quello che ha la precedenza, per me, è rendere il mondo migliore per chi mi è vicino. Con il mio aiuto, con la mia presenza, con il mio esempio, con i miei sforzi, con il mio amore posso contribuire.
(Ma guarda questo!!! A certa gente dovrebbero togliere la patente, per innata stupidità!! A momenti mi viene addosso…)
Non posso cambiare gli altri.
Posso solo fare in modo di agire nel migliore dei modi. E non è una questione di cambiare il mondo. E’ una questione di posizione.
Io, in fondo, cosa voglio? Trovare parcheggio e prendere il treno, questo intanto. E poi? Un posto a sedere? Un servizio decente? Inutile sperare in questo…cambiamo domanda: si potrebbe avere un po’ di fortuna per l’esame?
Ma poi, esiste davvero la fortuna?
C’è chi dice che tutto è questione di fortuna. Chi dice che esiste solo la sfiga.
La fortuna forse esiste. Ma certamente non basta, non basta questo per farle capitare le cose.
A Padova, in stazione, c’è ancora il tizio che chiede i soldi per il biglietto del treno.
Deve essere stupido.
Non gli darò più un soldo.
Io di lui mi ricordo, ma lui non si ricorda di me.
E’ già la terza volta in dieci giorni. A quanto pare guarda le facce di chi sembra buono e disponibile a dargli qualcosa. Mi spiace, ma mi hai solo insegnato ad essere egoista. Se fossero soldi per un biglietto del treno, potrebbero non esserci problemi. Ma qui si tratta di ben altro. Qui si tratta di distruggersi il corpo e la mente iniettandosi con l’ago.
L’umanità va a rotoli anche per colpa di noi giovani. Il mondo è fatto di adulti che non hanno saputo educare. La società distrugge. Solo i forti sopravvivono, dicono.
Non è vero.
I forti sono i primi a perdersi e a non combinare nulla. Sono i deboli, quelli che le cose se le sudano, quelli che barcollano, a costruirlo questo cazzo di mondo. Ma attenzione, non nel senso che si crede. Il mondo in realtà è composto di due realtà. Una meschina ed ignobile, che è quella delle multinazionali, dei governi e degli eserciti e di chi pensa secondo la legge del mercato e della giungla.
Ehi, dove vai? Non vedi che è rosso? Automobilista idiota uccide studente universitario: ma non avrei potuto leggerlo sul giornale.
Per fortuna hai frenato eh, caro il mio padovano perennemente di fretta?
Un mondo è questo, cioè quello di cui parlavo prima del mio tentato investimento, e uno è quello in cui viviamo, in cui possiamo venire ingannati e calpestati, ma in cui vivono le persone che per noi contano per davvero.
Non è un’utopia cambiare il mondo.
Non è impossibile.
E’ solo una questione di posizione.
Che cosa voglio, mi chiedevo?
Guardando il testo d’esame, voglio la soluzione. Voglio che qualcuno mi giuri che tutto questo serve. Che qualcuno giuri che questo è l’investimento giusto. La scuola e il mondo si affrontano sul ring.
Torno a casa. Siedo in treno assieme a centinaia di estranei. Ma in realtà non sono tali. Non li conosco, ma li ricordo. Siamo tutti sulla stessa barca. Siamo tutti schermati al mondo di fuori, barricati dietro noi stessi. E poi, basta un sorriso e una battuta e, se lo si vuole, si fa conoscenza.
Ecco ciò che conta.
Ecco cosa basta per cambiare il mondo.
Come ascoltare le storie che gli anziani hanno da raccontare.
Come giocare con un bambino anche se non ne hai voglia.
Come aiutare qualcuno a trasportare le valigie fino al binario del treno.
Non significa dimenticarsi del mondo, dell’Africa e della miseria umana, dei tumori e delle guerre. Significa solo la comprensione di un fatto assai elementare: per spostare una montagna, un uomo può solo sperare di riuscirci concentrandosi sui sassi, sulle pietre o sulle piccole rocce.
Poco importa se non sposterà tutta quanta la montagna, un sasso alla volta riuscirà a spostarne almeno una parte.
E quando si fermerà, prima o poi, qualcun altro continuerà l’opera.
E certamente questo avverrà perché l’umanità è insospettabilmente permeata d’amore, perché è l’amore, in tutte le sue forme a dare origine ad ogni cosa.
Scendo dal treno e rintraccio la mia auto. Ed eccola lì, da sola nel parcheggio dell’ospedale, fedele e silenziosa. Un segreto legame ci unisce.
Poi torno a casa e trovo la mia famiglia. La cena e qualche parola. Mio padre arriva che abbiamo quasi finito di mangiare. A volte, vorrei che la mia famiglia fosse differente. A volte, vorrei che tutto fosse più facile, che tutto andasse liscio.
Vorrei che la vita fosse come nei film, in cui la casa è in ordine e i problemi arrivano uno per puntata. Pianificati. Semplici. Senza oscuri tentacoli che si avvinghiano al presente e allora per risolverli servono miracoli a portata umana.
I miracoli, ecco chi li fa i miracoli: la gente comune!
Gesù lo sapeva: per questo non è nato ricco.
La vita è dura, per tutti.
La vita è la più grande gioia, e la più atroce delle sofferenze.
La vita è il più grande tesoro.
La vita è amore.
L’amore di Dio per i suoi figli, l’amore che non possiamo fermare e che dobbiamo regalare.
A modo nostro, certamente, ognuno a modo suo.
Accendo la tv e poi la spengo. Non ha più nulla da dirmi. Identica scena di stamani che si ripete.
Leggo un po’.
Ascolto musica.
La musica, il linguaggio dell’anima.
Mai come in questi anni tanto bisogno di musica.
Mai come in questi anni la necessità di sentirsi uniti.
La più grande piaga della storia: un popolo che ha paura.
La non conoscenza di sé genera la paura di sé.
E allora scoppiano folli gesti di violenza. E allora non si capisce più niente. E allora i giornalisti si fanno belli con le lacrime delle persone. E allora pensi che il mondo sia una merda, una lurida fogna che odora di escrementi e vomito. E allora bevi e poi ridi fingendo una maschera di normalità.
Tutte stronzate.
E poi mi addormento pensando a lei. Lei, l’unica che non mi so spiegare, quella che credo di amare.
Se la vita mi ha fatto un simile dono, allora il mondo non è così marcio.
E’ solo un vetro sporco che necessita di una pulita.
Una breve, fugace preghiera.
Poi, infine, mi addormento.
Domani arriverà presto a portarmi la vita di un nuovo giorno.

Data di creazione: 08 aprile 2004
Ultima modifica: 02 febbraio 2006

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.