Terapia

Il risveglio fu improvviso e doloroso: Nathan venne sbattuto con forza contro un lettino disposto quasi in verticale. Poi giunsero scariche al taser e manrovesci per soffocare sul nascere la ribellione del prigioniero. Quando infine si placò, ansante, scoprì di avere polsi, vita e caviglie legate da stretti legacci di cuoio e metallo. Non sapeva dove fosse o cosa volessero quegli uomini: sembravano chirurghi intenti a qualche pratica perversa. Gli occhi della cavia vagavano disperati e irrequieti per la stanza, soffermandosi sui brandelli di volto che riusciva a scorgere di fronte a lui, cercando di captare qualche indizio che lo aiutasse a comprendere. Aveva paura ed era confuso. L’ultimo ricordo che aveva risaliva al rapimento: cupe ombre nella notte, mani rapaci a ghermirlo nel sonno. Aveva tentato di resistere, ricevendo solo minacce e percosse e botte fino a che non l’avevano stordito e trascinato via. Poi il brutale risveglio nel covo dei suoi rapitori, misteriosi aguzzini sadici in camici verdastri che lo scrutavano crudeli e indifferenti, presenze aliene impassibili alla sua paura
Nathan invece sudava freddo: gli occhi vagavano fulminei e spaventati da quelle figure ai bisturi e agli altri strumenti disposti su mensole e ripiani. Ma era la macchina, quel parto tecnologico di fronte a lui a scatenargli autentico terrore nel profondo.
Il suo respiro si era fatto affannoso ora, il cuore pompava all’impazzata.
Tentò di forzare i vincoli che lo immobilizzavano senza però ottenere il benché minimo risultato. Tirò con forza, piegando il collo e inarcandosi nello sforzo di guadagnare vita e libertà.
Invano.
Nel frattempo la macchina fu avviata e minacciosi flussi di energia vermiglia percorsero cerchi concentrici fino alla punta del laser.
Il prigioniero aprì la bocca per urlare la propria angoscia ma nonostante tutto emise solamente suoni disarticolati. Gli aguzzini intanto registravano ogni reazione, senza palesare alcuna vera empatia per quel suo disperato attaccamento alla vita.
Infine, completato il ciclo di riscaldamento, il laser venne azionato. Dapprima si udì solo un sibilo, poi un sottile raggio di colore rosso si proiettò fino al lettino perforandolo da parte a parte, come se fosse carta.
Natathan cedette al panico quando avvertì la calda presenza di quel raggio di morte sotto ai suoi piedi. Si divincolò, scalpitò, protesto bofonchiando suoni incomprensibili.
Gli altri lo osservavano immobili, in attesa.
Quindi avviarono la procedura: il laser iniziò così a salire dal basso, lento e inesorabile, lasciando una scia incandescente al proprio passaggio.
Il prigioniero lottò ancora, per sottrarsi a quella sofferenza imminente. Poteva sentirne il calore, una cocente promessa di atrocità ad ogni istante più vicina. Il laser gli accarezzò l’interno della gamba destra, sciogliendo la superficie del lettino. Il ragazzo provava ora un terrore primordiale ed il suo respiro si era fatto ancora più affannoso e profondo. Sudava, smaniava ma nessuno sarebbe giunto a salvarlo.
La bocca si apriva e si chiudeva in continuazione, una supplica silente, un richiamo muto cui nessuno avrebbe risposto.
Nemmeno una parola prorompeva dal suo animo ad esplicitare la paura che lo stava annientando.
Loro lo scrutavano con curiosità crescente, soltanto questo.
Nathan invece era madido di sudore, con le dita che si muovevano frenetiche e gli occhi colmi di lacrime, già testimoni di un dolore immaginato.
Insensibile a tutto, il raggio continuava a salire.
Mancava quasi un centimetro prima che iniziasse a lacerargli il cavallo che l’altro, infine, urlò.
Fu un suono sgraziato e goffo, un grido brutale e sincero che salì autentico dal suo cuore:
– Noo, vi prego, nooo!.
Il laser si arrestò all’istante e, subito, uno degli spettatori uscì dalla stanza per telefonare:
– Professore? – chiese dopo il terzo squillo quando, dall’altra parte, una voce matura rispose alla chiamata.
– Parla pure.
– Il paziente ha risposto positivamente alla terapia – confermò trafelato.
– Ha parlato? Veramente?
Un sorriso malvagio illuminò il volto del professore che, subito, riagganciò e si recò alla scrivania per annotare con soddisfazione il prestigioso traguardo raggiunto. Su nove soggetti, tutti muti dalla nascita, uno aveva finalmente acquistato la facoltà di parlare.

Data creazione: 20 dicembre 2010

Ultima modifica: 27 dicembre 2010

Note: Testo scritto in occasione di un concorso gratuito promosso dalla community di Bravi Autori dal titolo “La paura fa novanta”, relativo a opere aventi la “paura” come tematica principale e limitate a 666 parole. Per maggiori informazioni potete controllare questo link oppure andare su portali per acquisti online come Amazon.

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