Vuoto di Luce – Capitolo 2

Non sono la meta, nemmeno i grandi eventi,
a renderci così grandi:
risiede nelle parole e nei piccoli incontri,
il valore di ogni nostra crescita.

Capitolo 2 – Prossima fermata: Midlas

22.06.A905

 

Alchor si trovava in un ampio edificio in decadimento. Non ne conosceva l’aspetto esteriore essendovi giunto sull’onda della condivisione onirica operata da Elpion. E il Secondo Spirito era lì, accanto a lui, partecipe della medesima visione.
La percezione del luogo nel quale ora si trovavano risultava poco nitida, quasi confusa. La fioca luce filtrava solamente dalle vetrate decorate poste in alto; malgrado la semi oscurità che imperversava riuscirono a scorgere alcune figure all’interno.
La vestale era in piedi, immobile, distaccata da tutto ciò che la circondava. Sembrava assente eppure la sua aura appariva candida. Si trovava nei pressi di una grande croce dalla struttura irregolare e contorta, ottenuta fondendo tra loro materiale di origine differente, sospesa in un’area di vuoto evocata a una delle estremità dell’edificio.
Poi Alchor vide se stesso, e Silostar, l’osservatore cieco. Non sapeva dire se fosse vivo oppure se il suo spirito già si fosse liberato dal proprio involucro corporeo.
Si volse in direzione di Elpion ma la donna sembrò non prestare attenzione a lui poiché intenta a scrutare dinnanzi a sé. Poco distante dal punto in cui si trovavano era in corso uno scontro tra potenze tali da scuotere la struttura stessa di quel luogo: un essere interamente rivestito di luce lottava contro un centauro di tenebra.
L’energia che essi possedevano esercitava una pressione devastante e il corpo etereo di Alchor a stento riusciva a resistere. Li vide accanirsi l’uno sull’altro, colpo su colpo, fino a stringersi in un corpo a corpo serrato in una titanica dimostrazione di forza.
Infine, un’esplosione di luce mista a tenebra inghiottì ogni cosa.

Il corpo di Alchor ebbe un sussulto; aprendo l’unico occhio, si rese conto di essere tornato alla realtà. La visione che il Secondo Spirito aveva condiviso con lui era appena terminata. Il servitore della Luce non era più all’interno di un sogno, catapultato in un luogo e in un tempo imprecisato avanti o indietro nel tempo. Gli ci volle un istante per fare mente locale e ambientarsi nel luogo da cui, in realtà, non si era mai allontanato.
Si trovava all’interno dello scompartimento di un treno, diretto a Midlas, una delle principali città della regione di Aarek. Nicholas, il ragazzo che gli sedeva di fronte, lo osservò preoccupato ma si tranquillizzò quando l’uomo, senza dire nulla, tornò a sonnecchiare. Anche gli amici del ragazzo, uno seduto accanto a lui e l’altro tra il finestrino e Alchor, tirarono un respiro di sollievo: sembrava che non fosse stato il loro parlottare sommesso a svegliarlo.
Lui, avrebbe voluto sorridere per via della loro reazione, ma si trattenne, per mantenere in vita il personaggio che, ai loro occhi, si era costruito addosso. Solo qualche decina di minuti prima, appena entrato nello scompartimento, si era imposto con ferma autorevolezza rimettendoli in riga.
Era salito a bordo del treno con il duplice obbiettivo di dirigersi a Midlas, la meta per il nuovo incarico affidatogli, e per parlare con un certo Sander Keghertan. Alchor l’aveva trovato nello scompartimento adiacente a quello in cui si trovava ora ma, anche mentre parlavano, la poca distanza non gli aveva impedito di sentire tutte la parolacce e le cafonerie di Nicholas e dei suoi amici. Li aveva ascoltati imprecare e dialogare a voce eccessivamente alta, per lo più per sfottere qualche loro comune conoscenza o qualcuno degli insegnanti che a scuola avevano tenuto lezione fino a un paio di settimane prima.
Così, una volta concluso la chiacchierata con Sander, Alchor, il guerriero della Luce, aveva deciso di spostarsi e di lasciarlo a ponderare sulla propria vita e sulle scelte che avrebbero condizionato il suo futuro. In compenso, avrebbe tenuto compagnia a quel manipolo di gradassi: in fondo, il viaggio era ancora lungo e il suo avrebbe potuto rivelarsi un intervento proficuo per la loro educazione.
Dopo essere entrato, l’avevano subito squadrato. Era alto all’incirca un metro e novanta centimetri, con la testa rasata e uno sguardo truce, abiti scuri e trasandati conformi al carattere schietto e deciso che possedeva; l’espressione dura e vissuta di chi è abituato ad affrontare la vita di petto, certamente contribuivano a conferirgli un’aria severa e carismatica.
Alchor dimostrava circa quarant’anni ma la sua età anagrafica era ben maggiore, poiché militava al servizio della Luce da parecchi decenni dopo aver rischiato la morte per mano dei demoni. Naturale quindi che la sua sola presenza incutesse un senso di timore misto a rispetto, tanto che al suo ingresso nello scompartimento i tre ragazzi si erano subito zittiti, con gran sollievo della signora che divideva quello spazio con loro. L’occhio del guerriero incrociò quelli della donna e vi lesse un tacito sentimento di riconoscenza, non ne poteva più del loro chiasso e delle loro parolacce. Aveva anche provato a sgridarli, ma le sue parole non avevano sortito alcun effetto su quei monelli che si sentivano i padroni del mondo.
Alchor lo comprese, ma non disse nulla. Si limitò a riportare la propria attenzione sui ragazzi; poi avanzò verso uno dei posti ancora liberi, quello di fronte a Nicholas e su cui il giovane teneva appoggiati i piedi.
« Leva quelle zampe ».
Parlò senza far trasparire né rabbia né fretta. Le sue parole non erano propriamente un ordine, ma ebbero uno strano effetto sul giovane che, quasi all’istante, spostò i piedi dal sedile per tornare composto al proprio posto.
Aveva gli occhi di un color nocciola intenso e non riusciva a staccarli dal nuovo venuto: erano soprattutto le cicatrici che gli segnavano la parte sinistra del volto, quella in cui una benda nera copriva la cavità dell’occhio, ad attirare l’attenzione di Nicholas. Alchor ne era consapevole, ormai abituato a quell’atteggiamento di morbosa curiosità da parte di quanti incontrava e che rimanevano impressionati dal suo volto deturpato. Spesso finivano persino con il considerarlo un poco di buono, addirittura un sicario; fatto questo che in parte corrispondeva al vero, se si trattava dell’esecuzione di apostoli del Vuoto.
« Così va meglio ».
Fu la sola constatazione del guerriero della Luce mentre riponeva il proprio bagaglio su uno dei supporti metallici delle pareti, prima di prendere posto a sedere. Dopo fu il silenzio delle loro voci a riecheggiare nello scompartimento.
I ragazzi, temevano l’autorità che emanava; eppure, lui non avrebbe torto nemmeno un capello a quei cuccioli d’uomo. Semplicemente voleva ricondurli a un comportamento più rispettoso di se stessi e degli altri.
Il rispetto è parte delle fondamenta della civiltà, una piccola verità che ripetè tra sé e sé.

Qualche minuto dopo la conclusione della visione, mentre il servitore della Luce stava ancora meditando su ciò che gli era stato concesso di scorgere, il treno iniziò a rallentare la corsa.
Alcuni viaggiatori uscirono nel corridoio e si affrettarono per scendere, tra questi anche Sander. Passando accanto alla porta aperta dello scompartimento in cui si trovava Alchor, scorgendolo con la coda dell’occhio, l’uomo si fermò un istante per osservarlo con gratitudine. Aveva gli occhi arrossati, forse aveva pianto, forse si era liberato del peso che si portava nel cuore rimuginando su quanto aveva condiviso ed esternato parlando con il servitore della Luce.
Il guerriero non lo avrebbe saputo mai, accolse invece la gratitudine genuina che traspariva dagli occhi e dal volto di Sander. Non avrebbe posto fine alla propria vita quel giorno. E nemmeno in quelli a venire. Avrebbe lottato: malgrado tutto avrebbe trattenuto la vita con i denti e con le unghie. Questo comunicavano i suoi occhi, umile testimonianza del compimento di un piccolo miracolo quotidiano.
Non riuscì nemmeno a udire le sue parole appena appena sussurrate, ma il labiale era inequivocabile: « Grazie».
Per tutta risposta, il guerriero della Luce si limitò ad alzare una mano, per indicargli che non c’era nulla per cui fosse necessario ringraziare. Avevano semplicemente parlato.
Sul volto rude non trasparì quindi alcuna emozione particolare, né sollievo o gioia per la speranza che Sander aveva abbracciato sull’onda delle parole scambiate assieme. Il guerriero aveva mantenuto invece la medesima espressione assunta in seguito alla visione avuta: non che fosse insensibile alla sorte di quell’uomo o che non provasse gioia per lui, ma le sensazioni e le immagini dell’esperienza onirica gli occupavano la mente, turbandolo. Quello che aveva visto era un’anticipazione di ciò che l’attendeva, un possibile futuro che avrebbe dovuto cercare di evitare. Oppure, al contrario, di realizzare.
D’istinto cercò il cellulare che teneva nella tasca destra. Scorse i nomi della lista e quindi avviò la chiamata: doveva avvertire Silostar di quello che la Luce gli aveva concesso di vedere.
L’osservatore cieco si trovava già a Midlas ed entro cinque o sei ore l’avrebbe raggiunto, ma tanto valeva anticipare i tempi e metterlo al corrente di tutto. Forse avrebbe potuto agevolare la sua ricerca, la loro ricerca.

 

Note: Estratto dal libro “Vuoto di Luce” pubblicato con YouCanPrint nel 2014, disponibile sia in formato cartaceo che in versione ebook

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