Ingenuity Mode ON

Eccomi! Ho mezz’ora circa, mezz’ora per dedicarmi a questi fogli bianchi. Mezz’ora per me prima di partire alla volta di Resana (TV).
No, niente gnocche strepitose da raggiungere per godere dell’estasi suprema dell’amore (come diceva Elio di “Eelst”). Semplicemente andrò a recuperare mio fratello al termine dell’allenamento.
Già, nei ritagli di tempo faccio il fratello maggiore. Part – time.
Non è semplice come si crede. O forse sono io che non sono molto bravo e quindi fatico un po’.
Ma che ci posso fare se sono nato prima io di lui?
Chi lo sa come sarebbe stato se fossimo nati in ordine invertito. Non lo saprei proprio dire. Non siamo simili ma per alcuni aspetti (forse molti per qualcuno) ci assomigliamo. A lui sono capitati forse gli anni più difficili e confusi. Anzi, quasi certamente senza forse.
Io, bene o male, qualche anno di tranquillità l’ho vissuto a casa.
Perché, non lo so se potete comprendere, ma non è facile affatto quando a casa si respira male e i tuoi non vanno d’accordo. Tutto comincia con problemi di lavoro, di denaro…che diventano verità taciute, bugie dettate dall’inesperienza, dall’ignoranza e dall’orgoglio. Errori di valutazione che si ammassano nel tempo fino a costruire muri di incomprensione e di distanze assai difficili da superare.
Inevitabile la separazione.
Con tutto ciò che ne consegue per lo stress e i cambiamenti, obbligatori e forzati. E allora tutto viene messo in discussione.
Il concetto di famiglia, ad esempio.
O l’amore, l’affetto, la serenità.
A quale esempio dovrò rapportarmi nel mio divenire uomo?
Stando ai media sembra che la separazione sia la norma oggigiorno. Come l’insicurezza che questi fatti creano nelle persone: disorientamento di valori che non so bene a dove condurrà. A noi stessi forse. Oppure da nessuna parte, al vuoto.
Non penso faccia bene comunque, se non per il fatto stesso di portarci a riflettere.
Cosa che forse non accade a livello generale (soprattutto considerando i discorsi di certi politici o di chi ancora crede alle loro “oneste” parole…che vergogna…).
Dopotutto a sentir loro, i media cioè, sembra che l’uomo ricerchi solo ciò che lo fa star male. Strano a dirsi per un ottimista, non trovate?
Però davvero sembra che questa sia la prassi, fuggire la famiglia, le responsabilità, la coerenza. Altrimenti non venderebbero tanto i gossip sui vip che si lasciano, che si cercano, che creano scandalo e poi ciao ciao.
E al contempo passano a fiume notizie di gente che si schianta in auto, che abusa di alcol, di droga o del prossimo. Oppure persone che uccidono, rubano e infine si uccidono.
Ma non ti preoccupare, amico telespettatore: continua a comprare questo e quello e la tua vita migliorerà!
Il messaggio subliminale è ovunque. Come la vendita di modelli a cui somigliare e il costante scardinamento di quelli che c’erano. Basta una qualsiasi immagine pubblicitaria per renderlo evidente.
Che fine han fatto i monaci dell’antica erboristeria, ad esempio? O i passeggini Chicco per bambini? Non vendono più evidentemente.
Sopravvivono alla selezione del marketing solo i lampanti esempi di arianesimo e di “svincolamento dai doveri e delle responsabilità”.
E allora li comprendo e li appoggio quelli che cercano di portare avanti sani principi e validi valori di lealtà e correttezza.
Tornando quindi alla questione sulla famiglia, credo che da essa dipenda molto, troppo della formazione dell’individuo. Anche alla luce del moderno precariato. La famiglia dovrebbe essere tutelata, difesa, aiutata. Forse le persone potrebbero fare un corso per diventare “genitori”. Non sarebbe così assurdo ipotizzarlo, non trovate?
In quest’ottica non vedo quindi cosa cambi tra l’essere genitori impreparati ma sposati rispetto ad una coppia di conviventi o di omosessuali.
Se sanno e possono e vogliono dedicare loro stessi all’educazione di un figlio, che male c’è?
Faranno qualcosa di grandioso ed importante. Proprio all’interno di una società che si muove in senso opposto.
Anche se ho dei dubbi in merito, perché in fondo sembra tutto un procacciarsi diritti e modi per esercitare solamente i propri desideri. Per avere senza impegnarsi o vincolarsi più del necessario.
Dopotutto, non è questo che ci insegnano?
“Lascia stare”, ti dicono. “Lascia stare! Che ti frega degli altri? Vivi! Compra! Non legarti a niente e a nessuno: non assumerti responsabilità per gli altri. Poiché tutto cambia tu devi essere il primo a poterlo fare!”
Siamo come prostitute insomma, persone che si vendono al migliore offerente.
Cosa ne guadagniamo?
Un’acuita sensazione di vuoto e paura, forse. Per questo aumenta il consumo di alcol, di droga, il bisogno di folla, di gente attorno che non ci conosca troppo ma che ci dia la sensazione di esser meno soli.
Ci abbiamo guadagnato in egoismo e in diffidenza. Ho i miei problemi, le mie scelte da compiere, le mie spese: perché dovrei rinunciare a qualcosa? Perché dovrei rimetterci qualcosa?
Ipocrisia.
Perché non è altro ciò che vogliamo: qualcuno che ci aiuti, che ci apprezzi, che si sacrifichi per noi senza voler niente in cambio.
Che si tratti di divinità, di scienziati stipendiati, di genitori o sconosciuti, ogni azione ci è dovuta. Noi al centro di tutto. Noi padroni del nostro tempo.
Il tempo.
Al primo posto il tempo, seguito da denaro e fama, rispettivamente medaglie d’argento e bronzo.
E poi ti spiattellano in faccia che c’è la depressione, che siamo infelici…
Qualcuno ci prova anche a definirne la causa, il motivo di fondo.
Ma poi tutto passa e nulla giunge a migliorare ciò che è alla base della vita e della politica e del buon senso.
Quante dinamiche che ancora non vanno ci sono oggi nella mia vita? Quanti e quali i motivi della mia infelicità, mi domando. Comprendere questo sarebbe già molto. Ed è la strada che conduce alla conoscenza di me stesso, un sentiero confuso, tortuoso.
Assurdo a ben pensarci.
Vivo da 24 anni e ancora mi comprendo poco. Così come poco comprendo il mondo che mi circonda e che sembra cambiare più rapidamente di quanto mi sia possibile conoscere. E questo genera insicurezza, porta domande, genera ignoranza. A cosa mi è servito studiare allora? A cosa serve lavorare o vivere in generale se non comprendo chi dovrei essere, dove dovrei andare, cosa dovrei fare?
La conoscenza giunge col tempo, ovvio. Eppure sono molte le esperienze che, per via delle scelte compiute e di quelle che compirò, mi sono o mi saranno precluse. Sono e saranno sempre tante le strade che non avrò tentato.
Chi lo sa dove sarei adesso se quella volta avessi parlato diversamente, se quel giorno fossi andato in un posto anziché in un altro. Dove sarei, ad esempio, se avessi conosciuto la musica a sei anni? O se avessi praticato un certo sport?
Oppure chi sarei se fossi nato in Mozambico oppure in Texas?
Non lo so e non lo potrò mai sapere. Dovrei viaggiare per le dimensioni, forse, per poter comprenderlo meglio.
Ma non so come si fa. Nemmeno Chuck Norris lo sa. Peccato.
In ogni caso sono capitato qui e in questo tempo. E nel bene e nel male qualcosa sono riuscito a comprenderlo di me medesimo e del mondo. Qualcosa magari l’ho perduto, qualcos’altro l’ho travisato. Ma sto facendo del mio meglio, ancora e ancora.
Però al contempo, pensandoci bene, io mi accorgo che il mio “me stesso” è frutto anche di tutte quelle esperienze che non ho vissuto, sono anche potenziale inespresso cioè. Tutto ciò che non sono o non possiedo dovrebbe essere quindi uno stimolo al cambiamento, un modo per tentare di vivere esperienze nuove e comprendermi meglio. Un motivo per cercare e non per rattristarmi o per essere infelice.
Ma nella società attuale non spingono la gente alla ricerca: la soluzione ci hanno abituato a comprarla già preconfezionata.
Pochi sforzi, poche rinunce. E responsabilità altrui, che ricade su chi, la soluzione, la produce.
Che poi, se nella vita non ci sono certezze, o almeno è questo ciò che dicono, allora l’unica cosa saggia è imparare a costruire, a fare e a cercare. Crearle, insomma, queste certezze che vengono meno.
Comprendere e guardare agli altri in un mutuo e reciproco aiutarsi è la via per cambiare assieme. Da soli si fa ben poco, si cade nei propri silenzi, nei baratri di quei dubbi atroci che non ascoltano risposte.
Appoggiarci agli altri, insomma, credo sia una buona scelta.
In controtendenza forse.
Non sarebbe male vivere più serenamente sapendo che non ci sono fregature, truffe, rapine, stupri oppure omicidi da temere.
Perché pur nella brevità delle relazioni e dell’esistenza umana, la costruzione collettiva rimane e perdura. Permette la nascita di un presente migliore. E di un futuro altrettanto umano.
Non sarebbe facile, questo no.
Altruismo gratuito e incondizionato…caspita…sarebbe un compito ben difficile. Un esempio di correttezza da proporre alle masse. Un costante dare e ricevere fiducia non basato da accordi commerciali o di non belligeranza.
Ma non parlo di cieca ed ingenua disponibilità, intesi? Ma di sforzarsi, ogni volta che ce ne fosse l’occasione, di adoperarsi per la costruzione.
Dell’individuo.
Della famiglia.
Della società.
Di noi stessi.
In fondo, è lo scopo per cui siamo qui, no?
O almeno, io la vedo così.

 

Data di creazione : 17 aprile 2007
Ultima modifica : 30 maggio 2007

 

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