Osservandovi

Oggi non ho nulla da fare.
Non ho pioggia da portare su terre arse dal sole, nemmeno ombra o riparo per case o campi. E con i compiti sono a posto fino a martedì!
E’ domenica pure per me in fondo, tempo per rilassarsi e svagarsi un poco.
Vago a zonzo, prendo la corrente delle tre e mi piazzo, comodo comodo, sopra il solito prato verde smeraldo.
Chissà se verranno anche oggi?
Scorgo il riflesso del cielo nell’acqua chiara dei laghetti, effetto secondario dello scavo degli umani.
Ammiro le anatre e i cigni che si muovono, lenti, sulla superficie dell’acqua.
Di solito sono qui a quest’ora…
Li cerco scrutando i volti delle persone a passeggio nel parco.
Quindi il mio sguardo si posa su di una coppia, giovani amanti che si tengono per mano.
Eccoli!
Li seguo per un poco, nuvoletta solitaria qui nel cielo.
Camminano assieme, l’uno accanto all’altra, le mani intrecciate, costantemente a cercarsi, per non smarrire il contatto mai.
Scambio di sguardi e di sorrisi mentre avanzano, parlano e si stringono. Per la distanza non comprendo ciò che dicono ma si nota – chi non ci riuscirebbe? – che c’è amore nei loro cuori.
Camminano ancora per qualche metro quindi si siedono su di una panchina verde situata a lato del sentiero di candido ghiaino.
Un bacio, quindi uno sguardo al cielo.
Il ragazzo solleva un dito e indica un punto alle mie spalle.
Mi volto e scorgo Phil – quel vanitoso – ha preso la forma di un orsacchiotto.
Anche la giovane donna ora osserva il cielo. Ma lei guarda invece nella mia direzione.
Mi hanno riconosciuto?
In preda all’eccitazione mi sforzo allora di cambiare forma. Mi concentro e cerco di abbandonarmi al tutto, lasciando che ogni mia parte divenga molle, morbida e docile da plasmare per il vento. Cerco di mettere in atto tutto quello che ho appreso alla Scuola del Cielo, richiamo alla mente le parole e intono il cantico del mutamento.
L’aria turbina delicata attorno a me e, seguendo la mia preghiera magica che recito, modifica il mio corpo: mi stringo in basso, mi gonfio ai lati…
Voglio assumere la forma di un cuore per i miei amici umani!
Ecco, ci sono, ci sono quasi…
Sorridono!
Ce l’ho fatta!
Sorrido soddisfatto.
Ma un’improvvisa folata di vento sbanda e mi spinge altrove, mi grida impetuosa affinché io mi sposti. Faccio del mio meglio ma urto una corrente ascensionale.
“Stai attento moccioso!”
Preso alla sprovvista, volo via con lei.
Nooo! Non adesso!
Passano svariati minuti prima che io riesca a ritornare sopra quel parco, impaziente di rivedere ancora i due teneri amanti.
Dove sono?
Quel vento maleducato mi ha fatto perdere l’occasione per giocare un po’ con loro.
Guardo a destra e a sinistra, li cerco su ogni panchina nel grande giardino degli umani.
Ma non li trovo.
Se ne sono andati…non mi hanno aspettato…
Li cerco ancora un poco, invano.
Sono partiti ancora una volta senza salutarmi…
Rabbuiato e deluso mi faccio grigio in volto.
Mesto, torno a casa che ormai è sera.
Non dico nulla, per tutto il tempo guardo la luna in camera mia.
Manca poco all’ora di cena e mio padre viene a cercarmi, bussa prima d’entrare nella mia stanza; quindi s’affaccia alla finestra assieme a me.
Mi invita a parlare, a raccontargli cosa non va. Non gli piace vedermi grigio, soprattutto nelle tiepide giornate di primavera.
Dopo avermi ascoltato in silenzio, partecipe della mia delusione, alla fine mi sorride amorevolmente.
“Non ti crucciare figliolo mio caro, gli umani sono creature assai strane”.
“Però ridevano, erano felici…perché non mi hanno aspettato…”.
Mio padre, un grosso nuvolone con la barba bianca, sospira e prende tempo.
Lo osservo paziente.
“Vedi, per loro noi siamo solo macchie qui nel cielo, effimeri cespugli di zucchero filato senza sentimenti. Per loro noi siamo creature semplici, prive di anima e di vita, non pensano mai a quanto sia difficile ess…”.
“…ma loro mi guardavano! Sembrava quasi mi avessero riconosciuto…”
“Lo so, figliolo. Ci osservano spesso dal basso di quel loro mondo terreno. Credo ci attribuiscano un potere ed un significato che li fa sentire bene. E nostro compito è anche questo in fondo, per questo studiamo e impariamo a cambiare la nostra forma andando…”.
“…alla Scuola del Cielo…lo so papà…lo so. Però è così frustrante sapere che non si ricordano mai di me…”
“Mi dispiace figliolo, ma gli umani sono fatti così”.
“Già…”, concordo deluso.
“Su, non fare tardi ora: la cena è quasi pronta…”, aggiunge poi
“Scendo tra poco, va bene?”
Una carezza sulla testa e poi mio padre esce.
Io rimango ancora un poco qui, a pensare a quei giovani ragazzi umani.
Non so nemmeno il loro nome ma vorrei tanto che fossimo amici. Ogni volta mi osservano, mi guardano come se mi riconoscessero e invece…
Sospiro.
…invece non mi vedono mai.
Prima di raggiungere i miei per la cena mi concedo un’ultima occhiata al mondo terreno. Esco in giardino, indugio con lo sguardo alla ricerca di qualche umano e poi rientro: la cena è pronta in fondo.

“Hai visto come si è mossa veloce quella nuvola là?”
“Dove?”, chiede Silvia.
“Era lì…sulla sinistra…ma è volata via adesso. Sai”, Leonardo prende tempo,” alle volte penso che sarebbe bello essere una nuvola…”.
“Già, guardare il mondo da lassù, vagare liberi, senza pensieri…”
Leonardo sorride alle parole della compagna: esprimono i medesimi pensieri che ha in mente lui.
“…non sarebbe male, vero?”

Data di creazione: 15 marzo 2008

Ultima modifica: 16 marzo 2008

Note: testo pubblicato all’interno del numero 6 (aprile-giugno 2008) della rivista Kaleidos. L’immagine in evidenza è un dipinto di Scott Naismith Il testo è stato pubblicato anche sui siti:

  • www.poetika.it
  • www.clubpoeti.it

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