La Missione – L’incontro e la missione

Capitolo 1

Quando riprese i sensi, l’orco scoprì di avere entrambi i polsi legati. A fatica riuscì a portare le mani alla tempia per tastarsi laddove la testa gli doleva. Ci erano andati giù pesante e, malgrado avesse dato prova della sua abilità di guerriero lottando orgogliosamente fino all’ultimo, i nemici erano riusciti a prevalere.
Lanciò una rapida occhiata attorno a sé osservando la fioca luce lunare filtrare attraverso le inferriate di una piccola finestra. Quindi emise un sordo ringhio per la rabbia: era prigioniero!
«A quanto pare, la bella addormentata si infine è svegliata!»
Le parole dello stregone sorpresero l’orco il quale, ancora intontito per i colpi dei suoi assalitori, non si era reso conto di non esser solo. Individuò l’uomo che aveva parlato scrutando nella semi oscurità della cella. Non riuscì tuttavia a scorgere quell’altro prigioniero, forse per via del buio o forse perché quest’ultimo non voleva ancora palesarsi.
L’uomo che aveva parlato aveva due vispi occhi chiari, luminosi e astuti, e una barba appena accennata sulle guance e sul mento. Il cappuccio di un mantello scuro che indossava sopra gli abiti gli conferiva un’aria misteriosa e al contempo pericolosa, sensazione acuita da quel sorriso beffardo e dall’arroganza con cui aveva parlato.
Come osa insultare un orco senza temerne le reazioni?
Urzal si alzò in piedi, più di due metri di barbarie e muscoli possenti. Non sapeva bene cosa gli era accaduto o dove si trovasse, ma se quello stupido umano voleva provocarlo – per Ga’Zhul! – avrebbe trovato pane per i suoi denti!
Tuttavia, quando cercò di sollevare il corpo possente e muscoloso, scoprì suo malgrado che oltre alle mani, saldamente legate tra loro, anche le caviglie erano prigioniere di pesanti catene sicuramente saldate alla parete dietro di lui.
«Calmati!»
L’uomo aveva parlato ancora con voce ferma e decisa: il suo era un suggerimento, non un ordine.
Ciononostante l’orco lo osservò ringhiando: non lo tollerava, non sopportava quel tono né la sua presenza. Alla prima occasione l’avrebbe di certo ucciso, magari torcendogli quel suo ridicolo collo da umano che si ritrovava. Di certo non era un guerriero a giudicare dal fisico, poco muscoloso e avvezzo al combattimento. Lui invece poteva contare sulla potenza devastante di muscoli scolpiti in anni di duri allenamenti e combattimenti in battaglia. Le cicatrici sul corpo e i tatuaggi di guerra, che indicavano il numero delle sue vittime, lo testimoniavano al di là di ogni dubbio. Urzal poteva distruggere un tronco a mani nude, spezzare il collo di un toro, abbattere qualsiasi nemico si fosse trovato di fronte in virtù dell’incredibile forza che possedeva. Anche al villaggio erano pochi coloro che riuscivano a tenergli testa. Sin da quando era poco più che un cucciolo era stato addestrato al combattimento, sottoposto a sforzi fisici e a prove di forza che nessuna delle altre razze sarebbe stato in grado di sopportare. E ora, all’età di quindici anni, Urzal era un avversario che nessun umano avrebbe desiderato trovarsi dinnanzi.
Eppure quell’uomo osava rivolgersi a lui senza alcun timore, un fatto che innervosiva l’orco solleticando la sua indole bellicosa.
Considerando però il contesto in cui si trovava si impose la calma, per cercare di studiare meglio la situazione e il suo interlocutore.
Forse possiede delle doti e dei poteri che lo rendono così arrogante.
Oppure è semplicemente un folle privo di senno.
Nella semi oscurità della cella Urzal respirava pesantemente, ancora preda della propria emotività. Gli occhi fieri, dalle pupille giallastre, lasciavano intuire uno spirito inquieto e animalesco: non aveva paura, tuttavia la prigionia lo rendeva irrequieto, ancor più incivile e intrattabile secondo i canoni delle altre razze.
Sull’onda di questi pensieri, ringhiando feroce in direzione dell’uomo, fissandolo con occhi carichi di rancore, alzò le braccia mostrandogli le catene che lo bloccavano: non tollerava che un debole umano si riferisse a lui con tanta arroganza. Ricorrendo a tutta la propria forza, il volto contratto in una smorfia di fatica indicibile, con gli occhi semichiusi e la bocca spalancata a urlare la sua tenacia, cercò di frantumare le catene che lo imprigionavano.
Delle catene comuni avrebbero ceduto in pochi attimi, ma quelle che Urzal aveva ai polsi erano stregate.
«Umpf, è tutto inutile. Risparmia le forze, orco: non sono comuni catene.»
Ma l’altro non voleva stare ad ascoltarlo: avrebbe frantumato le catene e fatto comprendere a quello stolto umano chi comandava.
Ritentò nuovamente e ancora e ancora un’altra volta.
Nonostante la caparbia ostinazione dopo un poco però fu costretto a capitolare e riconoscere che quelle catene erano troppo resistenti persino per la sua forza.
«Te l’avevo detto…»
«Taci umano!»
L’orco ringhiò frustrato
«Urzal non è mai stato fatto prigioniero e non saranno di certo catene come questa a fermarmi!»
«Non ne dubito Urzal ma, vedi…»
E mentre parlava sollevò di poco le braccia in modo da consentire all’orco di scorgere le catene magiche costituite di frizzante energia azzurrognola che avvolgevano i suoi polsi.
«Come puoi certamente notare, zucca vuota, anche io sono prigioniero. Ma, a differenza di te, io sono un mago e non posso contare su possenti muscoli.»
«Sei debole, come un umano…», l’orco non mancò l’occasione per lanciare una frecciatina ai danni del suo interlocutore.
L’altro però sembrò ignorarlo e proseguì con la sua esposizione:
«… per liberarmi. Tuttavia sono abbastanza intelligente da riconoscere un incantesimo quando me lo scagliano contro: queste sono catene magiche, imbevute del potere di un sortilegio da cui non posso liberarmi. Ho provato ad analizzarlo e a ricorrere a contro-incantesimi ma senza conoscere la parola magica che disattiva il sigillo apposto credo di essere praticamente impotente. È come se fossero state fatte apposta per frustrare le mie capacità.»
L’orco ascoltò con attenzione e, non appena l’altro tacque, smise di osservarlo per scrutare le proprie catene.
L’uomo se ne accorse.
«Vedo che inizi a comprendere, zucca vuota: anche le tue catene sono state potenziate dalla magia. Chi ci ha imprigionato ha preso le dovute precauzioni per neutralizzare le nostre abilità.»
Nuovamente Urzal provò a infrangerle con la propria forza, nuovamente senza risultato.
Quindi l’orco tornò a sedersi, rabbuiato e pensieroso.
Dopo un poco ruppe il silenzio e riprese la parola.
«Chi è stato? Chi è che ci tiene prigionieri? Urzal li ucciderà tutti quanti!»
«Oh, non dubito dei tuoi intenti omicidi e delle tue capacità assassine ma credo, amico mio, che sarà bene agire con cautela. Non ho idea di chi siano i nostri carcerieri. Sono stato fatto prigioniero da tre aggressori: erano potenti, abili nel contrastare i miei colpi. Non li ho visti in volto poiché l’oscurità li mascherava ma ricordo di aver scorto quel simbolo sulle loro vesti.»
Aveva indicato lo stemma disegnato sulla porta fiocamente illuminata da una flebile luce violacea, una croce bianca posta all’interno di un cerchio e con una stella vuota sagomata sullo sfondo, all’interno della circonferenza.
Lo stesso simbolo che Urzal ricordava di aver scorto sulle tuniche dei suoi aggressori. Anche loro erano in tre, i più abili guerrieri che avesse mai fronteggiato.
All’improvviso, la serratura della porta schioccò: qualcuno stava entrando nella cella.
L’orco scattò in piedi, pronto a fronteggiare qualsiasi minaccia; Jartra invece se ne rimase seduto. Finora lo stregone aveva provato qualcosa come cinquecento parole magiche per disattivare le catene che lo tenevano prigioniero ma senza esito. Sperava quindi di riuscire a carpire il segreto per la propria libertà studiando le parole e le reazioni dei propri carcerieri. In fondo, sin da quando si era destato, chiuso in quella cella spoglia, umida e buia, aveva avuto l’impressione che non erano stati fatti prigionieri per punirli di qualcosa o come ostaggi. Difficilmente qualcuno si sarebbe prodigato per salvare un tipo come lui, men che meno l’orco che gli stava di fronte. Il suo intuito e la sua perspicacia gli dicevano che c’era ben altro in gioco: nessuno sarebbe stato così stupido da mettere tre come loro in una cella assieme.
Un potente mago umano, un barbaro di razza orchesca, e poi quell’essere che, per tutto il tempo, se n’era stato in silenzio, in disparte, quasi non gli importasse nulla di quanto stava accadendo.
Probabilmente tra loro era quello più pericoloso, forse anche più temibile di Urzal, al contempo condannato ad alcune vulnerabilità che lui e l’orco non possedevano.
Ma dalla sua tranquillità Jartra traeva forza: non temevano alcun pericolo.

 

Vai al capitolo precedente…           Vai al capitolo successivo…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.