La Missione – L’incontro e la missione (2)

Capitolo 2

La pesante porta di ferro si aprì lentamente ruotando sui vecchi cardini in ferro. La luce del corridoio irruppe violenta, con tanta forza da sferzare gli occhi e risultare quasi accecante per i tre prigionieri ancora chiusi in quella cella buia. Ma ben presto si accorsero che quella luce non proveniva dal corridoio bensì era sprigionata da uno degli esseri che stava entrando.
A causa dell’intenso chiarore l’orco si coprì gli occhi con le mani e distolse lo sguardo. Odiava la luce troppo forte.
Ancora peggiore fu invece la reazione del terzo prigioniero, quello che Urzal non aveva ancora conosciuto né scorto: l’essere prese a urlare con un ringhio sordo, una voce strozzata e roca.
La creatura di luce stava per entrare nella stanza, tuttavia fu anticipata da un nervoso segugio di tenebra con gli occhi di fiamma. Il cane demoniaco entrò con foga e si fermò nel centro della stanza abbaiando furioso prima in direzione di Urzal, poi di Jartra e quindi del vampiro. Contro quest’ultimo si accanì per svariati secondi fino a che, esasperato da quel latrare ossessivo, con i canini bene in mostra e il volto crudele di un demone della notte, nonostante la sofferenza che la luce gli provocava, Klubken gli gridò contro.
«Taci maledetta bestia!»
Il segugio infernale per un attimo rimase interdetto, quasi contrariato da quella reazione. Ma un istante dopo riprese ancora con più veemenza, dimenandosi tutto, ora avvicinandosi al vampiro ora allontanandosi da quest’ultimo, comunque consapevole delle catene che bloccavano il prigioniero.
«Smettila Jodke!»
A quell’ordine il cane smise all’istante e si voltò, con il capo abbassato, verso l’essere di luce che ora era entrato nella cella.
La luminosità che emetteva era abbacinante, calda, pregna di un sentimento di pace che i tre avevano disconosciuto e smarrito da troppo tempo. Anche Jartra si portò le mani al volto mentre l’orco si rannicchiava a terra cercando di coprirsi e di proteggersi da quella luminosità celestiale.
Ma era il vampiro, Klubken, quello che ne risentiva più di tutti: la sua pelle iniziava ad avvampare e un sommesso gorgogliò di rabbia e dolore palesava la sua sofferenza. Iniziò a contorcersi per sottrarsi al dolore che gli lacerava le carni.
Il cane demoniaco invece ora scodinzolava placido nonostante non fosse che una mera ombra tremolante in quella luce assoluta: osservava fiducioso il suo padrone mentre entrava nella cella.
Poi il bagliore svanì di colpo e al suo posto rimase solamente l’essere che l’aveva causato. Il vampiro si lasciò cadere a terra, sfinito e dolorante; lentamente tornò a respirare con più regolarità, ancora scosso e devastato dall’esperienza patita. La tenebra nella quale si rintanò, la stessa che l’aveva accolto fino all’arrivo dell’angelo, gli donava refrigerio e il potere per rigenerarsi.
Urzal invece sembrava sopraffatto dagli eventi.
Come ho fatto a non accorgermi di quello? Eppure era qui, assieme al debole mago umano!
Era la prima volta che l’orco vedeva un vampiro: ne aveva solamente sentito parlare nelle leggende ma era ben consapevole che, di notte e al buio, i loro poteri erano sconcertanti e spaventosi. Ma tuttavia al cospetto della luce diveniva inerme e mansueto: poco prima sembrava addirittura incapace di respirare.
La sua curiosità però venne smorzata e, come Jartra, si concentrò sui nuovi arrivati, impressionato dalla loro singolarità e concentrato a studiarli. Di certo non erano gli stessi contro cui si era battuto prima di cadere prigioniero.
«Chi siete? Perché tenete Urzal prigioniero?» proruppe d’impulso.
Ma Jodke e il suo padrone non fornirono alcuna risposta. Quest’ultimo si limitò invece a un fugace sorriso.
Al pari dell’orco, anche Jartra era sgomento per quanto accaduto: contava sulla presenza del vampiro, sui suoi poteri sovrannaturali, per contrastare i propri carcerieri e guadagnare la libertà ma non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea che fosse addirittura un angelo a tenerli prigionieri!
Probabilmente anche la magia nera si sarebbe dimostrata inutile contro quell’essere divino. Tuttavia trovava strano che la creatura fosse accompagnato da un cane di tenebra, quel cane demoniaco che ora scodinzolava mite nell’osservarlo.
L’angelo che ora si trovava nella stanza, aveva intenzionalmente annullato l’emissione di luce che accompagnava la sua presenza: una volta accese le due fiaccole presenti subito ai lati dell’ingresso della cella e verificato, perquisendoli dopo aver assunto la forma di minuscole particelle di energia, che le precauzioni prese contro i prigionieri fossero in buono stato e ancora efficaci, aveva ridotto la propria divina luminosità. Solo filamenti di brillante energia fluttuavano alle sue spalle, ali che spuntavano dai vestiti ampi e abbondanti. I pantaloni apparivano larghi su scarpe bianche e assai diverse dai mocassini e dagli stivali abitualmente in uso in quelle terre: di colore bianco e nero, molto elaborate, presentavano spessi lacci annodati nella parte superiore. Sopra di essi pantaloni in tinta unita di colore nero e quindi una maglia bianca su cui faceva bella mostra di sé un cerchio. Al suo interno era riprodotta una croce disegnata sopra una stella sagomata. Al collo portava vistosi e pesanti monili, catene e croci dorate, proprio come gli anelli che aveva alle dita e che riproponevano il medesimo stemma della maglia. Un accenno di barba sotto il mento, una fascia con una visiera ruotata di lato completavano il quadro di quell’angelo dalla pelle scura. Con il sorriso stampato sul volto e le braccia incrociate sull’ampio torace, l’essere si posizionò alla destra dell’ingresso. In una posa che sembrava quasi di attesa marziale, come quella assunta dai soldati al cospetto di un alto graduato.
Chi può avere tanto potere da comandare un angelo? si domandò Jartra. Una fugace occhiata ai propri compagni di sventura gli fece comprendere che anche loro erano alle prese con gli stessi interrogativi.
Jodke, il cane demoniaco, invece si mise sulla sinistra, seduto accanto all’ingresso. Aveva la lingua a penzoloni e pareva l’animale più mansueto del pianeta, se non fosse stato per la sua essenza di pura tenebra e quegli occhi posseduti da un fuoco infernale. Poco distante dalla bestia si trovava Urzal, il possente orco, a cui di tanto in tanto la creatura gettava uno sguardo ruotando il muso color della notte. Tutto sommato sembrava tranquillo ora.
Del tutto opposto era invece lo stato d’animo dei prigionieri, a dir poco confusi e ancor di più crebbe la loro perplessità quando concentrarono i loro sguardi sul loro carceriere. L’angelo e il cane, ne ebbero conferma in quel preciso istante, erano solamente suoi umili sottoposti.
Il vecchietto varcò la soglia della cella muovendo un passo in avanti, con calma. Teneva la mano destra appoggiata su di uno scuro bastone nodoso su cui erano scolpite rune magiche, e l’altra dietro la schiena leggermente piegata in avanti. Sorrideva benevolo, gli occhi ridotti a sottili fessure.
«Bene bene» esordì in tono pacato.
Seguì un breve silenzio carico d’attesa.
«Sono proprio soddisfatto: un orco possente, un mago temibile e poi un vampiro.»
«Proprio come aveva ordinato, mio signore.»
Ingäbar intervenne con una punta di soddisfazione e con un accenno di sorriso dipinto sul volto.
«Cosa volete da noi, bastardi?»
Anche Jartra avrebbe voluto formulare quella stessa domanda, magari non proprio in quei termini e con quel tono, ma non prima di aver esaminato ancora un po’ la situazione. E probabilmente, considerando la natura del tutto unica dei propri ospiti avrebbe optato per parole più consone e rispettose.
Ad ogni modo, avrebbe preferito fossero i carcerieri a parlare e a scoprire le proprie carte: quello che aveva di fronte era un terzetto assai strano, proprio come il loro, tre prigionieri appartenenti a razze diverse, tre prede catturate per qualche strano motivo che ancora gli sfuggiva. Ma prima di conoscere il motivo della loro cattura, avrebbe voluto conoscere l’identità dei suoi carcerieri.
Klubken invece, mentre traeva forza dall’oscurità per rigenerarsi, stava cercando di stabilire un contatto con il cane demoniaco: percepiva la tenebra in quella creatura scaturita dal male. La stessa con cui condivideva un forte legame dal quale traeva vita e potere. Ma nonostante i suoi sforzi non riusciva a stabilire un contatto su cui far leva per comandarlo: a torto credeva di esser in grado di manipolarlo e di utilizzarlo per ottenere la libertà scatenandolo contro l’angelo o il vecchio.
Perché non ci riesco, maledizione!, ringhiò di frustrazione.
Nessuno dei suoi poteri arcani pareva aver effetto lì dentro, non era nemmeno stato in grado di tramutarsi in tenebra o in nebbia: nessuno dei propri poteri sembrava rispondergli, probabilmente l’effetto di un qualche sortilegio dovuto alle catene con cui era stato bloccato. Esaminandole notò con sommo disappunto che il simbolo marchiato sulle polsiere era il medesimo di quello riportato sulle vesti dell’angelo. Solo il dolore al cospetto della luce era rimasto a rammentargli di essere ancora un vampiro, un fatto di cui l’angelo dalla pelle color dell’ebano pareva perfettamente consapevole.
Chi é in realtà? Sarà stato lui a imprigionarmi in questa cella?
E tuttavia ora qualcosa era cambiato, qualche frammento dei propri poteri era ancora attivo e in virtù di questo almeno poteva rigenerarsi dopo le lesioni che, poco prima, la luce gli aveva causato. Si trattava certamente di un gesto di clemenza che Klubken stava cerando di interpretare.
Urzal invece, probabilmente vittima della propria indole focosa e istintiva, più avvezza all’azione che alle elucubrazioni mentali, aveva parlato senza peli sulla lingua.
Quello che ottenne fu dapprima un sommesso ringhio da parte di Jodke, poi una breve risata da parte dell’anziano.
«Possiedi uno spirito indomito, orco. Proprio ciò di cui ho bisogno. Mi piaci, per questo ti ho scelto: ti ho osservato per molto tempo compiacendomi della forza e del coraggio che hai dimostrato nelle innumerevoli battaglie da cui sei uscito vincitore.»
A quelle parole l’orco rimase interdetto.
«Urzal pensa che ti sbagli. Urzal è certo di non averti mai incontrato prima. Me ne sarei certamente accorto che mi osservavi.»
Jartra invece si domandò chi potesse essere quel vecchio signore. Quanto gli aveva sentito ipotizzare poteva indurre a pensare che si trattasse di un potente stregone, o di un semidio. O peggio ancora. Difficile pensare che l’anziano stesse mentendo sulle proprie doti di osservatore o sulle conoscenze possedute. In fondo, non erano certamente in molti a poter vantare una scorta composta da un essere di tenebra e da un angelo.
Quest’ultimo, Ingäbar, sorrise nuovamente e rispose alla replica dell’orco al posto del proprio padrone.
«Lui osserva tutto e tutti.»
Quindi ha tenuto d’occhio anche me, il vecchiaccio, ipotizzò il mago.
«Esatto. Così come Urzal, ho osservato anche te, Jartra e i tuoi notevoli progressi nella pratica delle arti magiche. Si, hai capito bene quel che ho detto Jartra.»
Ma cos…? Legge nel pensiero?, pensò il mago mentre il suo volto traspariva sincera sorpresa.
«Più o meno. Ma mi spiace contraddire le tue deduzioni: non sono uno stregone, nemmeno un semidio. Sono ben al di sopra di ciò che puoi anche solamente concepire. Ma non ti chiedo di comprendere, oh no, così come non lo sto chiedendo a nessuno di voi due.»
Disse osservando prima l’orco e poi il vampiro. Quest’ultimo, dal volto fiero e crudele, sotto la pressione di quello sguardo indagatore chiese in un ringhio quale fosse allora il motivo della loro cattura.
«Ho una missione, un compito da affidarvi.»
«Una missione? Umpf, non è nell’indole di noi vampiri servire alcun padr …»
Un’improvvisa gomitata alla bocca dello stomaco e quindi un colpo al volto con il dorso della mano fecero barcollare Klubken e la sua arroganza. Il vampiro scosse la testa intontito mentre, reagendo d’istinto, quasi fosse stato un fratello della sua stessa tribù, anche Urzal cercava di scagliarsi contro i nuovi venuti. Non c’erano legami tra lui e il vampiro, era la prima volta che lo incontrava, ma anni di esperienza guerriera avevano radicato in lui un profondo senso di cameratismo: si trovavano nella medesima situazione, perciò dovevano essere uniti e agire l’uno per l’altro. In caso contrario li attendevano solo il fallimento e la morte.
Eccitato da quanto stava accadendo Jodke iniziò a latrare. Percepiva l’odio, la paura e la tensione nell’aria e questo lo stimolava, esaltandolo. Avrebbe voluto giocare con i prigionieri, dare sfogo alla tenebra che lo animava. Ma il padrone era stato fin troppo chiaro, e lui doveva limitarsi ad obbedire.
Qua si mette male, pensò Jartra, noi siamo prigionieri e privati delle nostre capacità. Siamo totalmente alla loro mercé, e se questi due pazzi non la smettono di irritarli va a finire che ci rimetto anche io.
«Calma, calma signori. Siamo tra gentiluomini, non serve affatto ricorrere alla brutale violenza.»
Il mago alzò le mani in segno di resa e di tregua: non serviva a nulla creare tensioni. Non ora per lo meno. L’idea di esser costretto a servire qualcuno che prima l’aveva reso prigioniero non gli piaceva affatto, tuttavia non era saggio né agire mossi dall’orgoglio o dall’arroganza, né tanto meno farsi guidare dagli istinti.
Ci sarebbero state altre occasioni per fargliela pagare, ammesso che fosse possibile.
Per ora, era più saggio stare a sentire quel che aveva da riferire il vecchietto misterioso.
«Ben detto. Su, calmatevi.»
Il vecchio batté alcuni colpetti col bastone sul pavimento della cella. Poi mosse lo sguardo prima verso il vampiro e poi verso l’orco, quindi lanciò un’occhiata al suo fedele Ingäbar per redarguirlo. L’angelo fece spallucce e distolse lo sguardo: la questione morì all’istante.
«Posso comprendere il vostro turbamento e l’ansia che vi assale ma, vi prego, non ha senso reagire in questo modo. Non sono vostro nemico» riprese l’anziano.
«Nessuno fa prigioniero i propri amici e alleati» Klubken espresse tossendo la propria acida constatazione.
«Forse hai ragione…»
Il vecchio si immobilizzò, parve rifletterci un istante.
Forse, sperava Jartra, ci condurranno in un altro luogo più congeniale a discutere. Forse il vecchio sta pensando fra sé e sè a un posto più consono ad esporre le sue richieste, soppesando qualche differente modalità con cui procedere ad esporre i propri intenti. E magari ci toglieranno pure queste fastidiose catene stregate …
Il silenzio carico di attese e aspettative si protrasse per alcuni istanti.
«Signore?» Ingäbar toccò con dolcezza la spalla dell’anziano padrone.
«Uhm?»
«Signore, deve parlare loro della missione.»
«Ah già!»
Il vecchio parve tornare alla realtà. Era molto anziano e talvolta capitava che si perdesse nei propri pensieri o che la sua mente interrompesse, per qualche istante, le proprie attività trasportandolo altrove, lontano. In un’altra dimensione.
Che sia narcolettico?, Jartra scrutò con attenzione l’anziano carceriere nel tentativo di individuarne una debolezza, un qualunque elemento che potesse tornargli a proprio vantaggio.
«Scusate, stavo … ahem, riflettendo. Comunque, vi stavo dicendo che vi ho fatto condurre qui per uno scopo ben preciso. Per una missione. Siete i soggetti più indicati, gli unici che possano sconfiggere il Nuovo Signore Oscuro e riportare l’ordine nel Regno.»
I tre prigionieri rimasero senza parole.
«Sei pazzo!» ringhiò il vampiro
«Nient’affatto!» rispose l’altro, leggermente contrariato.
Potrei essere tutto, ammise fra sé e sé, ma di certo non sono pazzo.

 

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