Lo spacciatore

Niente di personale contro i reality…ovviamente…

La situazione era costantemente sotto gli occhi di tutti, telespettatori e addetti ai lavori. Un intero esercito di uomini e donne seguivano gli schermi, chi nelle proprie case solo spinto da curiosità e morbosa compartecipazione, chi perché costretto dal proprio lavoro ad osservare gli inquilini della casa. Addirittura qualcuno obbligato da rapinatori che in quel momento stavano rubando ogni cosa in casa loro ma che tuttavia avevano avuto la decenza di lasciare la vittima legata ed imbavagliata di fronte alla tv.
Accesa.
Ma questo è un particolare che, probabilmente, interessa solo alla giustizia e all’Auditel.
Ed erano in molti anche quelli incaricati di gestire la regia, l’audio, l’illuminazione per le riprese, la manutenzione delle videocamere, o che provvedevano ad ideare prove e situazioni per gli inquilini.
Casomai, poveri, si annoiassero.
Un piccolo esercito di uomini scelti che, di fatto, seguivano la trasmissione solo per constatare che tutto riuscisse per il meglio.
I partecipanti pure erano stati accuratamente selezionati e preparati affinché si calassero al meglio nel personaggio che gli si richiedeva di impersonare.
Non tutto nella casa era reale, ovviamente.
In fondo, si trattava pur sempre un programma televisivo, anche se spacciato con un altro nome.
Ma agli spettatori sembrava non importare poi molto di sapere se quelle persone fossero realmente così nella vita di tutti i giorni oppure no, se fossero migliori o peggiori di come apparivano. Forse nessuno gliel’aveva mai chiesto, o forse non volevano riconoscere quest’assurda ipotesi. Altrimenti avrebbero spento la televisione sin da subito per dedicarsi a qualcosa di più sano e proficuo, per esempio occupandosi di gossip e delle chiacchiere su questa o quella star famosa. Venire a conoscenza dei problemi e della vita dei vip a qualcuno, molti in realtà, permetteva di sentirsi meno solo, più importante, come se all’improvviso fosse amico di quelle persone così lontane e irraggiungibili. Senza contare che il semplice pensiero di veri-important-pipol in difficoltà era confortevole e rassicurante: la vita era difficile anche per loro, nonostante i contatti giusti e i contanti a non finire, quelle cifre spropositate che un umano qualsiasi avrebbe impiegato migliaia d’anni a far proprie.
E per lo stesso meccanismo anche il finto show della realtà continuava a riscuotere un ottimo successo.
O almeno, fino a quel pomeriggio.
Nonostante tutte le raccomandazioni e contro ogni previsione, qualcosa non stava funzionando.
Qualcosa di malsano era tragicamente in atto.
Era più che evidente.
Nella camera Uno tutto tranquillo: era inquadrato un ingegnere alle prese con una macchinetta del caffé. Non riusciva a farla funzionare e questo andava più che bene. Secondo copione insomma, mentre poco distante una delle ragazze correva sul tapis roulant mettendo in mostra gambe toniche e lisce e regalando agli spettatori il viso impassibile e composto di una ragazza assolutamente non avvezza allo sport. Una classica operaia in pratica, una di quelle che lavorano minimo otto ore in catena di montaggio e che alla sera devono pur provvedere alla cena, ai figli e alle lamentele di un marito stanco. L’ingegnere di tanto in tanto appariva a dimostrare i propri insuccessi: forse cercava di conquistarla così, impietosendola.
Nella camera Due invece due ragazzi si rilassavano nell’ampia sauna. Dopotutto la casa era la fedele rappresentazione delle case comuni del Grande Paese, un particolare questo da spiattellare in faccia alle migliaia di indebitati sintonizzati sulla trasmissione, tristemente prigionieri di mutui e di prestiti stipulati con interessi da usurai.
La camera Tre mostrava alcuni ragazzi comodamente sdraiati all’aperto, ad oziare sotto il sole chiacchierando del più e del meno. Non avevano niente di meglio da fare mentre i loro colleghi nel mondo reale erano alle prese con ingiuste condizioni lavorative, disoccupazione oppure stage non retribuiti.
Loro invece se ne stavano in vacanza, retribuita.
Parlavano del più e del meno, raccontando episodi e aneddoti della loro vita, rivelando sogni oppure ansie inconfessabili, di tanto in tanto erudendo gli ascoltatori con nozioni su particolari e importanti eventi storico-culturali. Come la scoperta dell’America da parte di Napoleone, la costruzione delle piramidi egiziane ad opera degli apostoli di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani e della Nutella alle nozze della Canapa. Come del resto è fedelmente riportato nei Promessi Sposi di Carlo Goldoni, conte di Cavour.
O almeno questo era quanto sostenevano i ragazzi della casa.
La camera Quattro era invece quella che catalizzava l’attenzione pubblico e poco importava che fosse uno spettacolo poco adatto per la fascia pomeridiana. Dopotutto, un’orgia era sempre cosa assai gradita in trasmissioni come quelle. Certo, ogni tanto una voce aveva il compito di richiamare all’ordine i ragazzi e le ragazze perché le telecamere non riuscivano a inquadrarli bene o per far loro assumere posizioni più adatte e consone. Secondo il copione di un noto regista hard, co-autore del programma, ovviamente.
Tutto procedeva per il meglio e i livelli di eccitazione raggiunti dagli spettatori erano più che soddisfacenti.
Ma era ciò che la camera Cinque stava inquadrando a destare preoccupazioni e timori da parte dei responsabili del programma. Erano bastati pochi indizi a far comprendere loro che qualcosa non quadrava affatto.
Due ragazzi che comunicavano tramite bigliettini oppure a gesti, senza l’ausilio della parola, da giorni avevano fatto nascere il sospetto che ci fosse sotto qualcosa.
Stavano tramando, era più che evidente.
E ora erano nello sgabuzzino.
Assieme.
Uno dei due, prima di entrare, aveva continuato a guardarsi furtivamente attorno temendo l’arrivo di qualcuno degli altri coinquilini ad interferire con quel loro incontro segreto.
Non volevano essere scoperti.
Cosa avrebbero pensato di loro?
Ma l’indice di ascolti e il monitoraggio della trasmissione rivelava invece che il pubblico li aveva scoperti e, anzi, iniziava a seguire le dinamiche degli eventi con crescente trepidazione.
A casa attendevano morbosamente che qualcosa accadesse, qualcosa di lascivo, di scandaloso.
Di blasfemo.
Qualcosa che desse loro un argomento di cui parlare o discutere con il prossimo, sempre più alieno nel mondo reale.
Uno dei due ragazzi armeggiava sotto la polo, giusto all’altezza dei pantaloni.
“Ce l’hai?”
Lo scabroso labiale del ragazzo entrato per ultimo nello sgabuzzino.
L’altro annuì e poi, da sotto la maglia, estrasse un oggetto non meglio identificato.
Era avvolto in alcuni fogli di carta colorata a nasconderne la vera natura.

“Ve lo dicevo io! Ve lo dicevo! Dannazione!”
Uno degli autori, uno di quelli che sin dalle prime puntate aveva nutrito seri dubbi sull’affidabilità di quei due ragazzi, li additava ora come le cause della futura chiusura del programma.
“Come ha fatto quella roba ad arrivare li dentro?”
Nonostante la discrezione dei due ragazzi, lui aveva capito tutto.
Invano aveva sperato che fossero omosessuali o al più dei serial killer schizzati: avrebbero dato uno scossone senza eguali al programma.
Invece con quella roba rischiavano di far chiudere i battenti al progetto televisivo.
“Maledizione! Siamo rovinati!
“Stai calmo”, un uomo parlò nella sala di regia, una voce pacata ma decisa. Autorevole.
Anche lui era nel gruppo degli autori ma, a quanto pareva, conservava un maggior sangue freddo: aveva un asso nella manica.
“Se faremo come dico io, risolveremo la situazione in men che non si dica”.
I presenti lo osservavano in silenzio, serbando nel loro cuore dubbi e preoccupazioni: il ghigno sul volto dell’autore misterioso non era certo di buon auspicio.

Mentre le camere dalla Due alla Cinque rimasero ferme sulle scene che stavano trasmettendo, la uno smise di inquadrare la svedese sul tapis roulant e l’ingegnere fallito – un toccasana per tutto il sistema scolastico del Paese – per spostarsi sul portone d’ingresso. Ma non trasmetteva più per il pubblico, bensì solo agli addetti ai lavori.
Un ospite inatteso stava per entrare. Uno specialista chiamato in causa per risolvere il problema con quel lurido spacciatore che rischiava di mandare all’aria il programma. Se non li avessero fermati in tempo, cosa avrebbe scritto la stampa in merito a quel che stavano combinando quei ragazzi?
Quali sarebbero state le reazioni dell’opinione pubblica?
Di certo, le conseguenze economiche si sarebbe rivelate catastrofiche.
Lentamente la porta si aprì e del fumogeno di scena iniziò a fuoriuscire mentre la pressione si stabilizzava e, indisturbato, il cyborg faceva il suo ingresso nella casa.
Era un essere completamente rivestito di metallo, il connubio tra uomo e macchina, giunto direttamente dal set di un film hollywoodiano: Robocop!
O quasi.
Si trattava infatti della controfigura omosessuale dell’arcinoto prototipo di poliziotto cibernetico.
Entrò con passo pesante, un costante lavoro di pistoni e articolazioni bioniche, fino a fermarsi laddove sapeva di essere inquadrato.
Estrasse la pistola dalla coscia destra approfittando dello spacco del pareo dai toni chiari che aveva annodato attorno alla vita. La pettorina invece era impreziosita da una camicetta della stessa fantasia aperta sul davanti e annodata all’altezza dell’addome in modo che lasciasse scoperti e in bella vista i sui addominali artificiali. Rossetto e un po’ di trucco rosa e viola sull’elmetto completavano il tutto.
Reggendo la pistola rivolta verso il soffitto, il corpo leggermente di tre quarti rispetto alla telecamera, con voce metallica e priva di accento parlò.
“Ciao mamma! Guardami, anche io sono finalmente in televisione! Proprio come il fratellone!”
Nessuno se l’era sentita di avvertirlo del contrario, che cioè la telecamera non trasmetteva al mondo intero.
Poi, osservando con decisione dritto dinnanzi a se, tornò alla propria missione incamminandosi verso lo sgabuzzino, inconsapevole del fatto che, ancora una volta, non era a tutti gli effetti “in televisione”.
I suoi ordini erano precisi: sistemare quei due con una lezione esemplare.
Erano feccia, e come tale dovevano essere trattati.
Con il loro comportamento irresponsabile stavano lanciando un messaggio malsano all’intera nazione di telespettatori che li stavano osservando.
Andavano fermati, subito.
Ad ogni costo.
Implacabile sfondò la porta con una spallata.
I ragazzi si spaventarono per quell’irruzione improvvisa e presero ad urlare mentre, perfettamente sincronizzate, tutte le porte della casa che potevano condurre nei paraggi dello sgabuzzino si chiudevano e gli altoparlanti iniziavano a diffondere un po’ di sana musica.
Per coprire lo scempio, per lo più.
A causa dello spavento, il pacco cadde di mano al ragazzo e proprio in quel momento, forse anch’esso (anch’essa?) preso alla sprovvista dalla loro reazione, Robomosex sparò.
Una scarica di dodici colpi che investì in pieno i ragazzi.
I loro corpi caddero in una pozza di sangue, martoriati e privi di vita.
“Giustizia è fatta”, affermò il cyborg mentre riponeva la propria arma.

“Congratulazioni!”
Nella sala di regia gli autori si abbracciavano e festeggiavano per come si era conclusa quella sordida faccenda.
Lo sgabuzzino sarebbe stato sigillato e i due ragazzi dati per squalificati.
L’autore misterioso, colui che aveva richiesto l’intervento di Robomosex, sedeva composto con le mani incrociate dinnanzi al viso. I suoi occhiali, divenuti improvvisamente scuri, non rivelavano alcun particolare dello sguardo mentre, seminascosta dalle mani, la sua bocca era contratta in un ghigno soddisfatto.
In seguito alcuni riferirono di aver avuto l’impressione di scorgere in quel sorriso anche due canini aguzzi luccicare nella semi oscurità fumosa della stanza. Ma queste voci si dispersero come fumo di fronte al ventilatore, proprio come i sul come e sul perché l’autore misterioso conoscesse Robomosex.

Gli altri inquilini della casa invece vennero tranquillizzati sulla natura di quei rumori sospetti e sulle urla sentite: fu imposto loro di rimanere al proprio posto (nei limiti del possibile per quelli impegnati con l’orgia) e di non dar peso a quei banali scricchiolii sentiti qualche attimo prima.
Semplici lavori di ristrutturazione alla casa contemporanea all’eliminazione di due concorrenti.
I ragazzi parvero accettare la spiegazione senza dar troppo importanza alla faccenda.
Anche se, a dire il vero, un po’ erano dispiaciuti che non fosse stato eliminato l’ingegnere: alcuni si sarebbero perfino offerti di portare a termine quel compito ingrato.
A casa, i telespettatori forse si sarebbero lamentati dell’eliminazione di due concorrenti “perché affiliati ad Al Qaeda”, la scusa preferita per tutto da qualche anno a questa parte. Ma dopotutto le statistiche dimostravano che in molti, a seguito dell’oscuramento della camera che inquadrava lo sgabuzzino, avevano trovato molto più piacevole seguire le evoluzioni acrobatiche dell’orgia.

Nessuna telecamera invece diffuse al mondo intero ciò era appena stato rinvenuto da Robomosex sul luogo dell’omicidio: il pacchettino che quei due giovani stavano cercando di scambiarsi conteneva infatti qualcosa che nella Casa non doveva entrare, un pericolo per l’intero sistema di format televisivi proposti.
In un batter d’occhio il cyborg nascose in un sacchettino di plastica il reperto sequestrato, ovvero la versione tascabile del quinto canto dell’Inferno di Dante Alighieri.
Nessuno degli spettatori sarebbe rimasto turbato da quella robaccia, nessuno avrebbe gridato allo scandalo per quel riprovevole spaccio di cultura che stava per essere compiuto in diretta, proprio sotto gli occhi di tutti.

Data di creazione : 03 febbraio 2007

Ultima modifica : 16 gennaio 2010

Racconto pubblicato sulle pagine dei seguenti portali web :

  • www.arteinsieme.net
  • www.ewriters.it
  • www.i-racconti.com
  • www.scrivendo.it
  • www.francamente.net
  • www.lunegitane.it

 

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