Promoter(ror)

Capelli scarmigliati, sguardo vagamente assorto e un volto ancora stravolto dal sonno mi osservano dall’altro lato dello specchio: non sono nemmeno le otto di un pigro mattino di fine gennaio. Sbadiglio scompostamente. La sveglia ha smesso di suonare da circa mezzora, trionfante, dopo avermi costretto ad abbandonare controvoglia il tepore del letto per prepararmi ad un nuovo giorno lavorativo.
Ora me ne sto in bagno: come al solito dopo la colazione, prima di uscire, urge la necessità di liberarmi dal peso in eccesso che serbo dentro, il frutto di ore e ore di straordinari processi chimici avvenuti all’interno del mio intestino.
Non nego di avere ancora sonno e che la voglia di recarmi in ufficio è ai minimi storici. Mentre espleto i miei impegni fisiologici, per ingannare l’attesa, penso e considero le attività che mi si prospettano per la giornata.
All’improvviso il telefono squilla strappandomi al mio meditare placidamente assorto. Fastidiosamente fa trillare la sua voce, una, due, tre, fino a dieci volte.
Poi la quiete del silenzio mattutino torna a regnare nell’appartamento e a salvarmi dall’amletico dubbio: correre a rispondere o restare seduto?
Ma la tregua dura solo per una manciata di secondi e, indefesso, l’apparecchio riprende a strillare isterico. Invano, cerco di mettermi fretta e di completare il ciclo di scarico ma di nuovo torna tacere prima che io sia pronto ad abbandonare il water del bagno.
Istanti di calma e poi, ancora una volta, squilla ossessivo; per forza di cose non mi riesce di rispondere per cui non otterrà risposta alcuna.
Data l’insistenza, inizio a domandarmi chi possa essere, chi abbia tanta urgenza di disturbare a quest’ora, prima delle otto di mattina.
Forse è successo qualcosa; ci sarà stato un incidente; magari è qualcuno che ha bisogno di me…
Supposizioni che lentamente si insinuano angosciose tra i miei pensieri mentre mi pulisco e mi rivesto. Praticamente sincronizzato con i miei movimenti, appollaiato sopra al mobiletto in ciliegio del corridoio, quasi mi aspettasse in agguato, il telefono riprende a far sentire la propria voce squillante.
Tiro l’acqua: al limite tornerò più tardi sul luogo del misfatto per controllare che tutto sia in ordine e l’aria respirabile. Non c’è tempo per il deodorante ora. La suoneria sempre più ringhiante e aggressiva mi mette fretta: giusto il tempo di sciacquarmi velocemente le mani e poi, sempre più nervoso e preoccupato, mi precipito fuori dal bagno verso l’apparecchio telefonico. E’ ancora più che isterico e trillante quando, all’ennesimo squillo mi riesce di afferrare e sollevare la cornetta inviperita.
– Pronto …
Rispondo titubante, con un filo di voce, già prospettandomi il peggio.
Scenari apocalittici, la Siae, agenti dei servizi segreti venuti a riscuotere il canone Rai, lutti improvvisi o, addirittura, annunci di fallimenti aziendali: di questi tempi, non si sa mai da dove possa arrivare la bordata che ti stende.
– Signor Sedorfi? -, la sua voce è sicura, ferma, virile assai.
– Si – il mio tono è amorfo, sulla difensiva.
– Bene!
Anche se non posso vederlo, so che l’uomo dall’altro lato del telefono sta annuendo compiaciuto.
– Lei chi è, scusi?
Il tono adesso è meravigliato, più disteso: la conversazione sta procedendo in modo rilassato e inatteso.
Forse non è successo niente di grave, inizio già a convincermi in nome di un non meglio definito sesto senso che, come la Forza, guida le mie percezioni.
– Mi chiamo Giulio, sono un operatore per la prestigiosa Piccioni Edizioni. Mi permetto di contattarla a quest’ora per illustrarle una nostra vantaggiosissima offerta. Solo per lei, e solo per …
– Se intende propormi qualche abbonamento -, lo anticipo con decisione.
Alla faccia del sesto senso, questi son predatori rapaci!
– Esatto! Se le interessa abbiamo periodici di informazioni, cataloghi, pornazzi, letture di tutti i tipi! E poi anche …
– Mi spiace, non sono interessato.
Realizzo compiutamente di esser stato importunato, molestato telefonicamente.
Altro che tragedie, pianto e stridore di denti!
Per fortuna, anzi, considero dopo una frazione di secondo.
Malgrado il fugace istante di sollievo, mi permane dentro un silente eco di funesto rancore.
– Anzi, Giulio, gradirei non essere più disturbato dalla vostra azienda. Arrivederci.
Fine delle trasmissioni per quel che mi riguarda.
Il tizio però non demorde, cerca di recuperare in qualche modo, di trattenermi.
Patetico.
Sta ancora blaterando qualcosa in merito a possibili e ragionevoli motivi per cui varrebbe la pena stare a sentirlo quando, brutalmente, riaggancio la cornetta.
Non mi interessa nulla di ciò che ha da dirmi.
Anzi, venir disturbato per simili questioni mi mal dispone a qualsiasi trattativa.
A quest’ora del mattino, poi!
Termino di prepararmi e dopo un po’ parto per il lavoro.

E’ sera quando esco dal turno in azienda.
Prima di tornarmene a casa, però, mi reco al centro commerciale per un rapido giretto tra i negozi cercando di trovare qualche idea utile alla giusta causa di San Valentino. Sara mi ha confidato che non vuole nulla, che non è necessario alcun regalo per festeggiare, ma conosco quel poco che basta del linguaggio femminile per decifrare il messaggio nascosto e intuire che, invece, si aspetta effettivamente qualcosa.
E io non voglio deluderla per cui eccomi a zonzo in questi luoghi di perdizione finanziaria. Ho ancora qualche manciata di giorni a disposizione e i prezzi già stanno cominciando a raddoppiare in nome dell’avvento del santo patrono dell’amore. Per di più non sono mai stato bravo nello scegliere i regali e quindi preferisco prendermi per tempo, girovagare come un randagio affamato e curioso per poi tornare in un secondo momento a compiere l’acquisto.
I centri commerciali sono luoghi adatti alla causa, alla mia causa. In fondo, la concentrazione di negozi ed esercizi commerciali mi facilita nella cerca.
Certo, non è comunque semplice: sono molti i rischi in agguato.
L’avidità dei negozianti, il rischio infarto nello scorgere la targhetta col prezzo di certi articoli, la calca di gente che ad ogni ora bazzica il centro e poi loro, le procaci promoter.
Come sirene ammaliatrici mettono alla prova la solidità della volontà umana. Maschile soprattutto.
Stanno in agguato, sorridenti e abbigliate in modo sensuale. Ancheggiano, passeggiano, lanciano sguardi ammiccanti, la sensazione di lascive promesse solo sussurrate.
Come gatte in agguato attendono il momento propizio.
Poi attaccano. Letali. Precise. Fameliche come squali voraci.
Alla mia destra scorgo una coppia di anziani signori accerchiati da promoter di una nota compagnia telefonica. Una delle ragazze sorride verso di loro mentre regge una magnum nera all’altezza del petto dei due vecchietti: o l’abbonamento o la vita.
Invano i due cercano comprensione e solidarietà nello sguardo dei passanti in galleria ma nessuno si ferma, nessuno vuol correre il rischio di beccarsi un abbonamento al posto loro.
Ognuno per sé, un po’ come nella giungla.
Mors tua, vita mea.
Poco più avanti due avvenenti e graziose promoter hanno appena attaccato bottone con un simpatico trentenne. Come un insetto voglioso il tizio è caduto nella loro tela e sicuramente non riuscirà ad abbandonare il loro gazebo senza aver firmato per una fornitura a vita di trapunte. Lo conferma il taser che una terza promoter ha appena attivato in attesa di scoprire le intenzioni del cliente.
Non si può mai abbassare la guardia: queste ragazze sono disposte a tutto pur di vendere.
Si tratta solo di lavoro.
Il loro lavoro.
C’è da capirle, per carità, di questi tempi poi non è facile tirare a campare.
Malgrado tutto ciò, io avanzo nel lungo corridoio che propone, ai lati, vetrine colorate e offerte su offerte di abiti, profumi, borse, orologi, tette …
– Ciao!
La promoter mi compare dinnanzi in tutto il suo divino splendore: è una ragazza avvenente, slanciata, dal sorriso magnetico. Attorno agli occhi il trucco sfuma nel blu e ne evidenzia la carica seducente dello sguardo. I denti, bianchissimi, rilucono come gemme e ben contrastano con la pelle abbronzata e la chioma scura di capelli appena mossi.
Da bravo maschietto, non è proprio a tutto questo che presto attenzione. Lo ammetto: rimango estasiato dalla visione del suo corpo seminudo. Se non fosse per gli slip, le scarpe col tacco dodici, i guanti che le ricoprono mani e avambracci, e i copri capezzoli a forma di stella blu la giovane donna sarebbe praticamente nuda.
– C-ciao -, balbetto io, leggermente confuso e sorpreso.
Cerco di fare appello a tutta la mia razionalità: non posso cedere.
Non devi cedere, soldato, o sarà la fine!
Una voce dentro di me inizia a lanciare ammonimenti ma lei sorride placida e sicura della propria avvenenza e tutto passa in secondo piano. Il suo charme sta già avendo effetto e non c’è santo alcuno a cui possa votarmi per ottenere soccorso. Sono già stati tutti conquistati dal pudico candore della procace promoter.
Lenta ma inesorabile avanza sensuale verso di me.
Ondeggiando sui tacchi vertiginosi si porta a pochi centimetri dalla mia persona, vicinanza fisica per facilitare il sodalizio commerciale; inclinando la testa verso il basso e verso destra, stringendo un po’ le braccia al busto per concentrare maggiormente il seno prosperoso, che così sembra ancora più morbido e invitante, con voce quasi timorosa parla:
– Mi chiedevo se non fossi interessato a …
Le palpebre si muovono lente e ammalianti.
– … a …? – , emetto suono quasi senza accorgermene, incuriosito e rapito.
Stupido!
Immediatamente mi rendo conto di aver sbagliato alla grande, di aver prestato il fianco ad una successiva incursione commerciale.
Devo stare in guardia, mi ripeto mentre si avvicina ancora di più e mi getta le braccia al collo, abbracciandomi delicatamente ma senza trarmi a sé.
Per contrastare l’eccitazione tento allora di pensare a questioni prettamente maschie, cercando rifugio in pensieri assolutamente non erotici. E per qualche motivo la mia mente vaga alla deriva, rievoca episodi del film 300, spartani tutto muscoli, sangue e guerra. E poi altri personaggi della mitologia classica, come Achille, Ercole, Ulisse. Mi domando se anche lo stesso Ulisse, alle prese con le sirene, avesse sperimentato qualcosa di analogo a quello che sto vivendo ora; mi domando se pure la sua mente fosse stata sovrastata dal fascino sensuale e dalla bellezza che quelle creature ammalianti possedevano.
All’improvviso un dolore rapido e acuto mi distrae.
Dura un istante soltanto e poi svanisce. Come se un insetto mi avesse punto al collo ma, non appena cerco di alzare la mano destra per tastarmi, la ragazza mi blocca e mi impedisce di controllare. Anzi, trattenendomi delicatamente per il polso fa sì che la mia mano appoggi sul suo morbido seno. Quindi più su fino alle sue labbra carnose. Poi, con lenti e ben calcolati movimenti della lingua mi lecca le dita.
Dall’espressione sul suo volto sembra quasi che goda, come se le piacesse quello che sta facendo. A me sicuramente intriga assai ma so che è tutta una tattica, un modo per distrarmi. La ragione giunge a mettermi in guardia: guardati da lei! Non è affatto un comportamento normale!
Certo che no: il comportamento della ragazza – nonché l’abbigliamento, ovvio – non è affatto normale.
E’ una promoter, dopotutto!
Ciononostante, con uno sforzo di volontà, riesco a porre una minima distanza tra me e lei.
Penso a Sara, al legame che ci unisce.
Fedeltà e rispetto. Fedeltà e rispetto. Parole come un mantra riecheggiano dentro di me. Fedeltà e rispetto.
Indietreggio confuso.
– Perché mi rifuggi?
Non rispondo, mi limito ad osservarla.
– Non ti piaccio forse?
Sembra ferita, delusa dal mio comportamento ritroso.
– Non è questo. No, anzi. E’ che, mi sento … sono confuso. Non capisco …
– Non c’è niente da capire, infatti – afferma in modo lascivo.
Ma che sta dicendo?
Scuoto la testa.
Per un attimo ho come avuto l’impressione che mi si annebbiasse la vista ma ora sembra tutto a posto nel reparto “cervello – nervo ottico – occhio” della mia scatola cranica.
Trascorre qualche istante e, stoicamente, continuo a mantenere una certa distanza, ma neanche troppa.
– Vabbè, se proprio non mi vuoi vicina posso provare a parlarti anche da qui.
– O-ok… -, la fisso e successivamente sposto lo sguardo al foglio e alla penna che regge in mano.
Non ricordavo le avesse anche prima. E al solo pensiero di sapere dove la tenesse avverto del movimento nei miei calzoni.
– Beh, è molto semplice. Io mi chiamo Giada e lavoro per la Piccioni Communications.
Piccioni …. dove ho già sentito questo nome?
Me lo chiedo mentre la promoter prosegue illustrandomi la vantaggiosissima offerta di cui, solo per oggi, posso approfittare.
Sarà per la vista del corpo quasi nudo della ragazza, per quelle sue forme sobbalzanti, per le gambe ben tornite e sode, ma mi sento avvampare.
Mi tolgo il giubbotto: ho caldo.
Terribilmente caldo.
Sul suo volto un sorriso per un attimo interrompe la descrizione dell’offerta di connettività a cui sta cercando di convertirmi: telefonia, internet, poste … tutto senza limiti!
Asterisco.
Che poi rimanda ad una dicitura microscopica scritta con inchiostro simpatico che compare solo nelle notti di plenilunio: anche il costo è senza limiti con effetti indesiderati anche gravi e con clausole che vincolano l’abbonato anche post mortem.
Lei continua a esporre le condizioni generali dell’offerta alternando parole a gemiti e sospiri.
Sinceramente, io, tutta questa convenienza non la scorgo. Anzi, ora come ora proprio non mi interessa.
Ma non ho neppure la forza di volontà minima necessaria a confessarlo.
Sono in balia della sua voce e me ne lascio cullare.
Sillabe come carezze, punti su punti di vincoli contrattuali divengano petali di rosa in un leggiadro percorso verso la beatitudine celeste della connettività globale.
Mi sento avvampare, mi sento debole, voglio dormire, riposare.
Dura solo un istante ma ad un tratto scorgo solo puntini bianchi nel buio di un oblio senza tempo, echi di paesaggi ancestrali; quindi la vista torna perfetta.
– Tutto bene?
– S … si, credo di sì.
– Sicuro?
– Più o meno.
Nuovamente mi si avvicina.
Sembra seria ora, determinata come un chirurgo prima di un incisione.
– Ti vedo molto pallido sai. Se lo desideri potrei farti accomodare un attimo allo stand.
Soppeso la proposta.
Forse sedermi non è poi una cattiva idea.
Strusciandosi addosso mi guida verso lo stand della Piccioni Communications: un tavolino con sopra dei contratti pre-compilati, manifesti, depliant e brochure. Ci sono anche due uomini vestiti in giacca e cravatta con imperscrutabili occhiali neri a nasconderne lo sguardo.
Uno dei due ha il volto sfregiato: una lunga cicatrice scende dalla tempia destra sino al mento. Decisamente un tipaccio, malgrado l’abito ragguardevole.
Strano, penso.
La ragazza mi fa accomodare su una delle sedie disponibili, quindi mi osserva dall’alto in basso. Ne scorgo il volto oltre le mammarie sporgenze dei suoi seni abbondanti e soffici. Ondeggiano lentamente ipnotici in base all’ancheggiare dei fianchi di Giada.
– Allora? Che ne dice dell’offerta che le ho illustrato poco fa?
Domanda a bruciapelo, inattesa.
Cerco di raccogliere le idee, temporeggio; la testa mi gira sempre più, ricordo a mala pena quello di cui mi ha parlato qualche minuto prima. A malapena distinguo le stelline blu che le coprono le areole dei seni. Sono stanco, tanto stanco.
– Sinceramente …
– Sì? – si sporge verso di me, avvicinando le sue labbra carnose al mio viso.
– Non mi interessa.
In un guizzo di lucidità è tutto quel che riesco a dire.
Uno sforzo non da poco, ve l’assicuro.
Come una fucilata a bruciapelo che blocca l’attimo, quanto da me confessato ha l’effetto di un’eterna condanna, il rifiuto di Adamo di fronte alla pace dell’Eden.
Il disappunto sul volto di Giada ne stravolge i lineamenti: sembra orribile adesso. Ma l’impressione dura solamente qualche istante poi, come il sole che torna a dominare il cielo azzurro dopo il passaggio di una nuvola impertinente, la ragazza si illumina di un sorriso solare e genuino.
Non mi sento bene. Affatto. Meglio andarsene.
Sorrido, un sorriso spento, di circostanza. Avverto la tensione nell’aria, elettricità pronta a frizzare. L’istinto mi grida di togliermi di torno prima che l’uragano devasti ogni cosa.
Tento di alzarmi.
– Non sto bene. Scusatemi, preferirei andare a casa ora – mi giustifico con un filo di voce.
Una mano si appoggia pesantemente sulla mia spalla destra impedendomi di sollevarmi dalla sedia in plastica bianca dello stand.
Osservo prima la mano e poi, risalendo il braccio fino alla spalla, il volto del bruto che mi trattiene. Sembra così lontano, come se avesse un arto lungo decine e decine di chilometri. E una testa così piccola, buffa, a forma di clessidra. Sembra Vin Diesel dopo esser stato pressato in una morsa di grafite.
Sorrido di un sorriso idiota, inebetito dagli effetti di una qualche droga che mi scorre in corpo. Mi sento leggero e instabile, i colori pure appaiono pure un po’ troppo squillanti rispetto al solito.
Una mano delicata mi accarezza e accompagna il movimento della mia testa. Anzi no, aspetta, forse è il contrario. E’ la mia testa che segue la direzione in cui si muovono le dita affusolate della promoter.
Mi sento così fiacco, sempre più incosciente, svuotato.
– Certo, certo, mica abbiamo intenzione di trattenerti più del dovuto. Siamo professionisti, mica truffatori.
Nuovamente sorrido di un sorriso ebete. Mi sento ubriaco e accaldato. Un rivolo di sudore mi cola dalla tempia destra.
– … ma prima ci terrei ad informarti che ti ho inoculato del veleno in corpo. Capisci?”
Malgrado tutto, il mio cervello ancora connette.
– Si – , rispondo con un filo di voce.
Improvvisamente sono serio, salivazione azzerata, panico dentro.
Giunge la consapevolezza, la ragione insorge mentre le parole della donna assumono definitivamente significato, geroglifici finalmente tradotti.
La mia espressione, divenuta all’improvviso lucida, conferma ciò che ho sussurrato.
Sono spacciato.
– Perfetto!
Sorride la stronza.
– Ora, le possibilità che hai sono due: o te ne vai per stramazzare al suolo con la bava alla bocca prima di raggiungere l’auto oppure …
La testa ondeggia, le palpebre si fanno sempre più pesanti: tutto mi appare sfocato.
A fatica, riesco a risollevare la testa, a portarla leggermente indietro e ad aprire bocca.
– Oppure? -, la mia è una supplica, un fiato appena che esce dalle mie labbra.
Una fialetta con un liquido azzurro ondeggia dinnanzi a me. Ho la vista sempre più annebbiata: il siero sembra una scia di luce che danza da una stella all’altra, dal seno di sinistra a quello di destra.
La seguo con lo sguardo.
Con un movimento goffo e impreciso allungo la mano: cerco di afferrarla.
Ma la ragazza sposta il liquido prezioso prima che io lo raggiunga.
– No no no – fa con il dito indice.
La guardo senza capire, triste, deluso da un gioco a cui non volevo partecipare.
– L’antidoto sarà tuo solo se ti abbonerai al nostro servizio per almeno, quanto?
Spostando il bel volto da quello dell’energumeno di destra a quello di sinistra, valuta quanti anni di condanna infliggermi.
– Tre?
Lo sfregiato annuisce. L’altro pare imbalsamato: non si muove, non emette suono alcuno, sembra una statua. Quella sua totale indifferenza lo rende ancora più agghiacciante.
– Tre anni di abbonamento.
Non capisco più nulla, oscillo tra la rabbia e l’incredulità.
Mi sento ancora più leggero e sfinito.
Loro intanto mi mettono in mano la penna e le mie dita la avvolgono istintivamente.
– Coraggio, basta una firma. Una soltanto.
Non sono più padrone di me stesso, voglio solo che questo supplizio termini al più presto.
Fa caldo.
Voglio andarmene.
Sempre più caldo.
Soffoco.
Voglio andare a casa ora!
Appongo la firma sul foglio e poi crollo in avanti, stremato, con la bava alla bocca.
Cala il sipario.

Quando finalmente mi risveglio sono riverso sul divano di casa mia con un forte cerchio alla testa. Mi alzo a fatica, spaesato e confuso. Ciondolo fino alla cucina, poco distante. Bevo. Ho la gola secca e un forte mal di testa, un dolore come di mille spine conficcate da una tempia all’altra.
Mi massaggio la fronte, quindi torno verso il soggiorno, al luogo in cui sono rinvenuto.
Una rapida occhiata al display sul lettore dvd situato sotto al televisore mi fa capire che sono ormai le ventidue e quindici.
Alcuni fogli sul tavolo attirano la mia attenzione.
E’ un contratto della durata di tre anni stipulato con la Piccioni Communications.
All’istante tutto mi sovviene in mente, ogni cosa si fa chiara e monta la rabbia: maledetti bastardi figli di puttana!
Stringo forte il contratto tra le mani, deciso a strapparlo.
Non può essere valido, non può aver valore!
Ma in quel momento scivola a terra una foto: sono io mentre accarezzo vergognosamente seni e glutei a quella baldracca del centro commerciale.
Impallidisco.
Sul retro della foto c’è una scritta: “Ricordatene nel caso volessi disdire anticipatamente dal contratto o protestare contro i nostri modi. Nessuno vuole che si arrivi ad un processo per molestie sessuali.”
Bastardi!!!!
Urlo in preda ad una furia cieca e scaravento a terra giornali e suppellettili.
Mi hanno fregato! Dannati figli di puttana!!
All’improvviso il telefono inizia a squillare, disturbando la mia più che sacrosante reazione irosa.
Le porte del Paradiso divengono una prospettiva ancora più lontana, inarrivabile.
Respiro a pieni polmoni cercando di calmarmi, a mala pena consapevole di aver sentito la suoneria.
Nuovamente l’apparecchio squilla con la sua voce vibrante e acuta.
Cerco di calmarmi e avanzo sino al telefono.
– Pronto!
Rispondo bruscamente, con un tono ancora caldo per le emozioni provate e la rabbia da sbollire.
– Buonasera signor Sedorfi …
Attimi di silenzio, sinapsi in fermento, ricerche nei meandri del cervello.
Ne sono certo: questa voce la conosco.
Temporeggio per un istante e poi chiedo conferma dei miei sospetti:
– Giulio?
– Mi fa piacere sentire che si ricorda di me, signor Sedorfi.
Stringo la cornetta con più forza, l’ira torna a crescere.
Maledetti avvoltoi a caccia di opportunità!
– Le ho già detto che non mi int …
– Aiuto!! Aiutami ti prego amore!!
D’improvviso mi si gela il sangue nelle vene.
Riconosco quella voce, non potrei confonderla con quella di nessun’altra.
Taccio.
– Bene -, è nuovamente Giulio a parlare ora, – ora credo mi presterà tutta la dovuta attenzione.
– Se osate torcere anche un solo capello a Sara, io, io giuro che -, nella mente iniziano a farsi strada immagini di supplizi atroci da infliggere a quei bastardi.
C’è solo l’imbarazzo della scelta.
La rabbia comincia a salire, la mano stringe la cornetta con tale forza che questa inizia a cedere per la pressione.
– Questo non avverrà, stia tranquillo. A patto, ovviamente, che lei si abboni al nostro settimanale per almeno … quanto facciamo?
Attimi di attesa mentre in sottofondo la mia ragazza singhiozza impaurita.
Li sento. Giulio e altre persone si confrontano, confabulano, cospirano gli stronzi, indecisi sul numero di anni e di abbonamenti a cui condannarmi.
Maledette carogne, penso.
– Ci dica signor Sedorfi, quanto ci tiene alla sua fidanzata? Quanti anni di abbonamento a tutte le nostre riviste vale la sua vita, per lei? Ci pensi con comodo, ci pensi …

Data di creazione: 16 febbraio 2008

Ultima modifica: 24 gennaio  2012

Note: Il testo che avete letto nasce da un’idea che mi è balenata in mente a fine gennaio ma non avendo riportato la data sugli appunti – come faccio di solito per altro – non so bene a quando far risalire “il concepimento” effettivo del racconto. Probabilmente risale anche a prima, al periodo delle offerte di Natale…
Fatto sta che l’idea alla base del racconto nasce dall’osservazione di come le promoter, avvenenti ragazze che lavorano in centri commerciali et similia, cerchino di abbindolare i clienti che passano cercando di vender loro questo o quell’altro. Carine, sorridenti e affabili fino a che non ti hanno fermato, arpie scorbutiche non appena scoprono che il cliente in questione non è interessato ad alcun acquisto. Da ciò è nato il testo che segue…infarcito anche con simpatici riferimenti agli operatori di call center che chiamano ad orari impensabili proponendo vantaggiosissimi affari, abbonamenti o tariffe.

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