L’arrivo all’ipermercato e i carrelli

Quante volte, al lavoro, prestante, magnifico e al contempo modesto nella mia postazione in pole position lungo la barriera casse, mi son sentito chiedere:
– Mi scusi: dove posso prendere un carrello?
La risposta, ovvia per altro, sarebbe stata: mi può indicare il nome di un qualsiasi ipermercato del sistema solare in cui i carrelli non siano reperibili all’esterno, per piacere?
Che poi, più che una risposta, sarebbe una domanda simil retorica.
Per carità, da qualche parte, un ipermercato che fornisce carrelli anche all’interno della propria struttura, e non solamente nei parcheggi esterni, magari c’è.
Raro, assurdo in termini di ottimizzazione dei percorsi, ma ipotizzabile.
Tuttavia non è affatto il caso del glorioso ipermercato presso cui lavoro, per cui mi limito a far notare, gentilmente, che i carrelli per la spesa sono posteggiati all’esterno.
Indicazione che spesso suscita strani moti di sorpresa da parte dell’interlocutore di turno il quale se ne torna al parcheggio esterno, luogo da cui proveniva, scuotendo la testa perplesso e dubbioso.
Quante volte poi ho visto clienti accanirsi contro i carrelli posti vicino al punto “Informazioni” che, per uso del personale interno, vengono solitamente utilizzati per spostare la merce abbandonata o rotta ma che, inevitabilmente, finiscono per divenire preda della famelica bramosia della clientela in transito.
A nulla serve appiccicarci un cartello con su scritto “Rotti”, “Per uso interno”, “Non toccare”, “Esplosivo” …
Loro invece fanno finta di niente, fischiettano avvicinandosi di soppiatto. Poi, con aria furtiva inseriscono una moneta e strattonano con forza, innervosendosi e imprecando per il fallimento di un piano tanto geniale: il carrello infatti è solitamente legato con catene utilizzate per immobilizzare stegosauri in calore.
Altri clienti invece, più astuti, per un qualche strano motivo che non sono ancora riuscito a cogliere, preferiscono parcheggiare là il loro, ormai vuoto. Forse per evitarsi la fatica di rimetterlo a posto nel luogo da cui, in origine, era stato prelevarlo. Oppure pensando di trovarlo lì, fedele, al loro ritorno la settimana successiva.
In ogni caso, riflettendo su questo insano comportamento, ci si chiede quale senso possa avere.
Ora, se i clienti abbandonano il carrello, questo significa che non è stato effettuato alcun acquisto, crimine gravissimo per cui è prevista la fantozziana crocifissione in sala ristoro, oppure che lo stanno riponendo dopo aver sistemato la spesa acquistata nella propria vettura. Cioè percorrendo due volte lo stesso tragitto ipermercato-auto anziché sistemare il carrello negli appositi spazi situati nel parcheggio.
Io credo invece che la motivazione di base sia un’altra, più subdola e particolare: tutto ciò viene fatto solamente allo scopo di falsare tutte quelle strampalate statistiche relative alla sedentarietà dell’uomo moderno!
Parallelamente a ciò sorge anche un’altra domanda, ben più inquietante e misteriosa: come fanno i clienti ad arrivare all’ipermercato?
Mi spiego: nello spazio esterno al glorioso centro commerciale presso cui presto i miei umili servigi c’è tuttora una vasta area asfaltata denominata parcheggio. All’interno di questa, a distanze ben precise e frutto di calcoli computati dai più poderosi cervelli elettronici del pianeta, sono posti svariati ricoveri per carrelli.
Quindi, se la clientela è arrivata al glorioso ipermercato, e questo fatto è inconfutabile poiché altrimenti non sussisterebbe la richiesta di indicazioni per trovare un carrello, allora va indagato per dove e, soprattutto, come vi sia giunta.
Se si è servita di un auto, dovrebbe aver notato delle strane impalcature preistoriche, secondo alcuni risalenti addirittura all’era giurassica, con dentro i carrelli. In fondo sono disseminate qua e là nel parcheggio, spesso anche nei pressi degli ingressi stessi: difficile non notarle.
Lo stesso dicasi per qualsiasi altro mezzo di locomozione terrestre e non: bicicletta, moto, autobus, catamarano e risciò (3).
In alternativa, i clienti potrebbero essersi lanciati da veicoli in corsa … ma ugualmente avrebbero percorso il parcheggio, rotolando magari, fino all’ingresso.
Sono quindi giunto alla logica conclusione che alcuni di loro, molti visto la frequenza con cui mi sento rivolgere quella domanda, giungano in aereo o in elicottero paracadutandosi da considerevoli altezze.
Oppure, per i meno abbienti, c’è sempre la cara ed efficace catapulta medievale.
Altre spiegazioni, oltre al teletrasporto, non ne ho ipotizzate.
In definitiva, c’è da riflettere sull’attenzione che spesso la gente pone nei confronti dell’ambiente che la circonda o nell’osservare il comportamento degli altri suoi simili.
Scrutando i clienti alle prese con gli angoscianti postumi seguenti al trauma del mancato approvvigionamento di carrelli si potrebbe finire con il pensare che, spesso, la gente non si ponga “prima” i problemi: non pianifica, non pondera, non calcola. Agisce e basta e poi quel che sarà, sarà.
Dopotutto entrando in un centro commerciale è molto probabile finire con il comperare qualcosa. A volte solamente per non cedere vittima dell’imbarazzo di dover uscire a capo chino per l’angusta “uscita senza acquisti” disseminata di ragnatele, scheletri e trappole mortali.
Se invece ci si reca con l’intenzione di far compere, è consigliabile munirsi di carrello, soprattutto quando si ipotizza l’acquisto di minimo tre casse d’acqua da 6 bottiglie ciascuna.
Per concludere, e rispondere definitivamente all’inquietante dubbio “ma ‘ndo stanno sti’ zzo di carrelli”, vorrei citare un simpatico esempio.
Una volta un cliente mi pose quella fatidica domanda.
– Fuori -, gli risposi candidamente.
– E qui dentro? -, mi incalzò nuovamente, speranzoso.
– Mi spiace, i carrelli si trovano soltanto all’esterno.
– Ma sono qui dentro da più di un’ora!
Di fronte a questa affermazione rimasi basito e pensieroso, improvvisamente conscio di una nuova verità italiana che, probabilmente, in qualcuno è più radicata che in altri.
Quell’ultima affermazione rimandava infatti a qualcosa di ben più grande e profondo, al fatto che non dobbiamo provvedere autonomamente a noi stessi perchè tutto ci è dovuto, perché dobbiamo sempre avere la scorciatoia, il modo semplice di ovviare a problemi su cui abbiamo, con- o incon- sciamente, sorvolato.
E’ tipico di noi italiani probabilmente, fare le cose alla carlona, senza la minima organizzazione e cercare rimedio poi.
Sto esagerando, direte voi, ma davvero certe piccolezze mi lasciano tuttora perplesso assai.
E anche alla Carlona certe cose non quagliano.
Non tanto per il fatto di non avere il carrello, al limite ci sono i cestini, ma per la scarsa volontà di cercare da soli una soluzione senza pretenderla in modo più o meno esplicito.
Un’ultima considerazione la faccio poi sui parcheggi: posteggiare di fronte all’entrata non è indispensabile. Nemmeno se possedete un suv alto dieci piani e lungo come un transatlantico. Tra l’altro, vi consiglio di controllare bene il parabufali montato sul cofano: credo abbiate ancora un ciclista incastrato nel metallo.
L’energia sprecata per aspettare che un posto si liberi, dicevo, magari mettendo fretta e limitando l’area di manovra di chi sta cercando di andarsene, unitamente allo stress e all’angoscia che subentra nel tentativo di sistemarsi in un posto considerevolmente più piccolo della propria autovettura, è molto maggiore di quella che serve per fermarsi un po’ più distante e camminare un poco.
Che è pure salutare.
E soprattutto, soprattutto, ve lo dico con una mano sul cuore e una sul grilletto del fido revolver che tengo abitualmente sotto alla cassa: non si parcheggia nei posti riservati ai dipendenti!!!!

Note e precisazioni:

(3) Ancora ricordo quel tale, Fon, di Shangai:
– Dopo la lotonda, semple dlitto mi laccomando.
Così gli avevano detto ma, da quel giorno nessuno seppe più nulla di lui.

 

Racconto estratto dal libro “Ipermercati (manuale per tutti)” 

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